SESSO OBBLIGATO CON IL MARITO PER PAURA DI DIRE NO: CONDANNATO L’UOMO PER VIOLENZA SESSUALE.
Un uomo finiva sotto processo per le presunte condotte violente contro la moglie e la figlia, il quadro probatorio tracciato in primo e secondo grado si rivelava sufficiente, per i giudici, per condannare l’uomo a sette anni e sei mesi di reclusione.L’uomo ricorreva in Cassazione, ponendo in discussione le dichiarazioni della moglie e la sua accusa di violenza sessuale. Per la Corte il quadro probatorio e le dichiarazioni delle persone offese rendevano evidenti le responsabilità dell’uomo, evidenziando che la donna era stata chiara nel riferire che i rapporti sessuali non consenzienti avevano avuto inizio almeno quattro anni prima della cessazione della convivenza e che negli ultimi tempi aveva deciso di dormire nella camera dei figli ma questa decisione non aveva impedito il perpetrarsi delle violenze sessuali, in quanto il marito era solito bussare alla porta per costringerla a consumare dei rapporti sessuali e lei, soggiogata dal timore della reazione violenta che avrebbe potuto avere se si fosse rifiutata, lasciava i figli addormentati e cedeva alle pressanti richieste. Era dunque logico parlare di violenza sessuale, alla luce del dissenso espresso dalla donna al compimento dei rapporti intimi, e del quale era certamente consapevole il marito.Era evidente che l’idoneità della violenza o della minaccia a coartare la volontà della vittima poteva sussistere anche in relazione ad una intimidazione psicologica attuata in situazioni particolari tali da influire negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima. Ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale non si richiedeva che la violenza fosse tale da annullare la volontà della vittima, ma era sufficiente che la sua volontà risultasse coartata. Il dissenso della vittima poteva essere desunto da una molteplicità di fattori, anche a prescindere dalla esistenza di riscontri fisici sul corpo della vittima, essendo sufficiente la costrizione ad un consenso viziato, come in questo caso. La Corte rigettava quindi il ricorso.(Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 19611 del 18.5.2021)
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