CHIAMA L’ALUNNO “DEFICIENTE”: INSEGNANTE CONDANNATO.
I racconti di due alunni di una scuola media siciliana portavano alla luce il discutibile comportamento in aula di un professore nei confronti di un loro compagno di classe, il quale finiva sotto accusa per il reato di maltrattamenti a danni del ragazzo. Tribunale e Corte d’appello non avevano dubbi sulla colpevolezza del professore che veniva condannato per i maltrattamenti in danno al suo alunno, che erano consistiti nel rivolgergli epiteti dall’indiscutibile valenza ingiuriosa ed umiliante come “fetente”, “deficiente” ed altre offese in dialetto. L’uomo veniva inoltre condannato al risarcimento dei danni verso i genitori del ragazzo che si erano costituiti parte civile in processo. L’uomo ricorso in Cassazione veniva però ritenuto responsabile sottolineandosi il suo atteggiamento, volto ad umiliare ed offendere lo studente, che all’epoca dei fatti aveva solo 12 anni, apostrofandolo abitualmente con epiteti e frasi oggettivamente scurrili in presenza di tutta la classe. L’atteggiamento del professore era stato provato non solo dai due ragazzini che avevano fatto emergere l’accaduto, ma anche da testimonianze di un compagno di classe e della madre di un altro alunno, e infine anche sulle parziali ammissioni del docente, riferite dalla persona che era stato reggente dell’istituto scolastico per un periodo. La difesa dell’uomo aveva mirato a ridimensionare la condanna dell’uomo da “maltrattamenti” ad “abuso di mezzi di correzione”, ma i giudici, sottolineando il fatto che l’uomo apostrofasse sistematicamente l’alunno durante le lezioni e davanti ai suoi compagni di classe e che gli epiteti in questione avessero una indiscutibile valenza ingiuriosa ed umiliante, considerate in particolare non solo la differenza d’età ma anche di ruolo tra docente e allievo, non ritenevano possibile tale ridimensionamento, anche perché il comportamento tenuto dal professore non si rendeva assolutamente necessario a fini correttivi, quindi anche se l’uomo avesse agito con intenti educativi, tale comportamento non era comunque adeguato.
La Corte dunque dichiarava inammissibile il ricorso.
(Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 3459 del 27.1.2021)
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