SENTENZA DEL GIORNO – 9.2.2024

da | Feb 9, 2024 | Uncategorized

LAVORATORE IN MALATTIA AIUTA LA MOGLIE IN NEGOZIO: LICENZIATO.

La vicenda aveva origine dal resoconto di un’agenzia investigativa privata alla società datrice di lavoro, con il quale veniva certificato che il dipendente pur essendo ufficialmente in malattia, aiutava la moglie al suo negozio. L’azienda chiaramente non ci stava e procedeva con il licenziamento il quale veniva impugnato dal lavoratore, tuttavia sia il Tribunale che la Corte d’Appello respingevano le sue obiezioni, ritenendo decisivo l’aver prestato attività lavorativa, per due giorni, presso l’attività commerciale della moglie durante un periodo di assenza per malattia (periodo di due settimane). Inutile il ricorso proposto in Cassazione dal lavoratore, la Corte infatti concordava con i giudici di merito sulla valutazione della gravità e della proporzionalità della condotta tenuta dal lavoratore, precisando poi che il comportamento del dipendente che presta attività lavorativa durante il periodo di assenza per malattia può costituire giustificato motivo di recesso qualora integri una violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, tanto nel caso in cui tale attività esterna sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, quanto nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante, in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio. In questa ottica si è rivelato, nella valutazione della vicenda oggetto del processo, l’approfondimento medico-legale finalizzato alla valutazione dell’attività svolta dal lavoratore in relazione alla patologia giustificante l’assenza dal lavoro presso la società, risultato nel senso dell’incompatibilità in concreto dell’attività, svolta dall’uomo in favore della moglie, con i suoi doveri quale dipendente verso l’azienda sua datrice di lavoro. Dunque, i giudici hanno correttamente definito l’attività svolta, in costanza di malattia, dal lavoratore, come potenzialmente idonea a ritardarne la guarigione, in quanto ripetuta nel periodo di malattia, e quindi, altrettanto correttamente, è stata posta alla base dell’addebito disciplinare che ha portato l’azienda ad optare per il licenziamento. La Corte respingeva dunque il ricorso del lavoratore.

Cass. civ., sez. Lav., sent. n. 2516 del 26.1.2024

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