LA FIGLIA VA A VIVERE CON IL PADRE: REVOCATO L’ASSEGNO VERSATO SUL CONTO DELLA MADRE, MA NON QUELLO VERSATO DIRETTAMENTE ALLA FIGLIA.
Nella causa di divorzio tra un uomo e una donna, in appello, i giudici venivano chiamati a pronunciarsi sulla revoca dell’assegno della figlia che nelle more del procedimento aveva deciso di andare a vivere con il padre. I giudici di secondo grado confermavano la revoca dell’assegno di mantenimento che l’uomo era tenuto a versare per la figlia, come stabilito con la sentenza di divorzio, un assegno di 30mila euro mensili, di cui 20 mila euro da versare alla madre e 10mila euro da versare su un conto dedicato alla ragazza. La revoca doveva decorrere non già dalla data della domanda ma dalla successiva data in cui la ragazza, prima collocata presso la madre, si era trasferita presso il padre, dove viveva stabilmente. L’ex moglie non ci stava e la vicenda finiva in Cassazione, ove la Corte sosteneva che la donna non avesse più alcun diritto a percepire dall’ex marito 20mila euro ogni mese per il mantenimento della figlia, visto e considerato che la ragazza si era trasferita a casa del padre. Allo stesso tempo, però, era illogico, secondo i giudici e come sostenuto dalla stessa ex moglie, mettere in discussione il versamento mensile sul conto intestato alla ragazza. L’accordo di versare l’importo di 10 mila euro, fino al raggiungimento dei 25 anni di età della ragazza, su un conto dedicato a lei intestato costituiva pattuizione che non poteva essere modificata o revocata in ragione del mutamento del collocamento della minore, trattandosi di obbligazione insensibile a tale evento. La previsione in esame era stata inserita tra le condizioni di divorzio concordate tra le parti e, quindi, recepite dal Tribunale e in essa si stabiliva che l’uomo avrebbe continuato a corrispondere l’assegno di mantenimento per la figlia, di complessivi 30mila euro, di cui 20mila euro da versare direttamente sul conto corrente della ex moglie e 10mila euro su un conto, dedicato alla figlia, con termine dell’impegno stato collocato al raggiungimento del venticinquesimo anno di età della ragazza. La Corte d’Appello avrebbe dovuto tenere conto del fatto che nella sentenza di divorzio l’importo mensile di 10 mila euro non era destinato al consumo ma ad essere accantonato e non intaccato fino al raggiungimento, presumibilmente, dei 25 anni di età della ragazza, non rilevando, dunque, la collocazione privilegiata o prevalente della figlia presso un genitore piuttosto che l’altro, in quanto quella somma corrispondeva ad un’autonoma componente di risparmio, rispondente ad un apprezzabile interesse per la ragazza e finalizzata alla creazione preventiva e progressiva di una cospicua disponibilità economica destinata a soddisfare le sue future esigenze di vita dopo il raggiungimento della maggiore età. La Corte dunque accoglieva il ricorso della donna con riferimento all’assegno di 10.000 euro mensili diretti alla figlia, con rinvio alla Corte d’Appello per nuova decisione sul punto, tenendo conto di quanto evidenziato dalla Cassazione.
Cass. civ., sez. I, ord. n. 18785 del 4.7.2023
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