VENDE ONLINE UN BENE MAI POSSEDUTO E DA’ NOME E COGNOME AL COMPRATORE: E’ COMUNQUE TRUFFA.
Secondo i giudici non ci sono dubbi, la vendita online di un prodotto in realtà mai posseduto è catalogabile come truffa, e a nulla rileva il fatto che il venditore abbia fornito al compratore le proprie reali generalità e gli abbia anche indicato per il versamento del prezzo pattuito una carta prepagata a sé intestata regolarmente. Così l’uomo veniva condannato a sei mesi di reclusione e 100 euro di multa in primo grado. Tuttavia, in secondo grado la Corte riteneva di dover assolvere il venditore, ritenendo che la sua condotta non fosse truffaldina.
La procura non concordava e presentava ricorso in Cassazione. La Corte evidenziava che la messa in vendita sul web di un bene, da parte di un soggetto consapevole dell’impossibilità di adempiere l’impegno assunto, era condotta idonea a perfezionare il reato di truffa. Nel caso di specie, la sola indicazione delle proprie reali generalità da parte del venditore non era elemento idoneo secondo la Procura, ad escludere l’idoneità ingannatoria di una condotta preordinata fin dal principio alla mancata consegna del bene a fronte dell’incasso del prezzo di acquisto. La compravendita online richiede, infatti, un particolare affidamento del contraente alla buona fede dell’altro, dato che le trattative si svolgono integralmente a distanza, senza che sia possibile verificare la qualità del prodotto e l’effettiva disponibilità del bene da parte dell’offerente. Secondo la Corte, quindi, la Corte d’Appello avrebbe errato nell’assolvere l’uomo, escludendo il reato di truffa per mancanza di artifici e raggiri idonei ad indurre in errore la persona offesa solo perché il venditore aveva fornito al compratore la propria e-mail e aveva indicato per il pagamento una carta prepagata a lui intestata. Dunque, la messa in vendita di un bene su un sito internet, accompagnata dalla mancata consegna del bene stesso all’acquirente e posta in essere da parte di chi falsamente si presentava come venditore ma aveva solo il proposito di indurre la controparte a versare una somma di denaro e a conseguire, quindi, un profitto ingiusto, integrava a tutti gli effetti il reato di truffa essendo irrilevante il fatto che il venditore avesse fornito al venditore le proprie esatte generalità e gli avesse indicato una carta a sé intestata per il pagamento.
Cass. pen., sez II, n. 13705 del 31.3.2023
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