SCOPRE DI GUADAGNARE MENO DEI COLLEGHI: IL LAVORATORE NON PUO’ ESSERE LICENZIATO SOLO PERCHE’ MOSTRA IL SUO DISAPPUNTO URLANDO IN AZIENDA.
Un lavoratore aveva sottratto un documento riservato presente in un ufficio privato dell’azienda, lo aveva mostrato ai colleghi, aveva diffuso notizie non veritiere in merito e infine aveva degenerato in urla e biasimi per avere scoperto che altri dipendenti erano pagati più di lui.
Dai giudici di merito veniva dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare subito dal dipendente dell’officina, con conseguente condanna della società a riassumere il lavoratore entro il termine di tre giorni, o, in mancanza, a risarcirgli il danno versandogli una indennità pari a cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Per i giudici i fatti contestati al lavoratore non erano così gravi da legittimare il licenziamento anche perché tra le possibili cause di licenziamento disciplinare non era previsto fosse sufficiente che si verificasse un diverbio litigioso, ma occorreva che questo fosse seguito da vie di fatto e che comportasse nocumento o turbativa al normale esercizio dell’attività aziendale. Le condotte poste in essere dal lavoratore messo alla porta dall’azienda non erano state espressamente contemplate dalle parti sociali tra le mancanze che giustificavano il licenziamento e, comunque, esse apparivano oggettivamente non particolarmente gravi. Il licenziamento era stato irrogato a fronte di un singolo episodio consistito, sostanzialmente, nelle intemperanze verbali conseguenti alla scoperta di essere trattato in modo deteriore rispetto agli altri dipendenti, ma tale episodio non aveva determinato nessuna ulteriore conseguenza, non essendo sfociato in vie di fatto, né avendo causato un qualsivoglia danno alla società. Tenuto conto delle particolari circostanze che hanno determinato la reazione del lavoratore e del grado di affidamento richiesto dalle mansioni da lui svolte e, soprattutto, del fatto che il rapporto lavorativo si era svolto in modo regolare per circa sette anni, senza dar luogo all’irrogazione di sanzioni disciplinari, il licenziamento doveva ritenersi sproporzionato e, dunque, illegittimo in quanto carente della giusta causa.
Inutile il ricorso in Cassazione da parte dell’azienda, la Corte confermava il ragionamento dei giudici di secondo grado e ribadiva l’illegittimità del licenziamento. Secondo la Corte, infatti, indubbiamente la condotta del lavoratore integrava gli estremi di un illecito disciplinare, ma era comunque logico escludere la massima sanzione espulsiva nei suoi confronti.
Veniva rigettato, dunque, il ricorso dell’azienda.
Cass. civ., sez. lav, sent., n. 19181 del 14.6.2022
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