I FIGLI DEVONO ESSERE LIBERI DI SCEGLIERE LA RELIGIONE CHE INTENDONO SEGUIRE.
Dopo la separazione dalla compagna, madre di sua figlia, un uomo si convertiva ai Testimoni di Geova ed avvicinava, senza il consenso della madre, anche la minore a questa religione, che ascoltata dal giudice aveva evidenziato il disagio di partecipare alle funzioni presso la Sala del Regno e di essere stata portata in strada a distribuire opuscoli col padre con cui avrebbe preferito giocare di più. Tuttavia continuava anche a seguire il catechismo, così come richiestole invece dalla madre.
La donna, per risolvere il conflitto su come educarla, ottenne un’ingiunzione dal Tribunale di Livorno per impedire di associare la figlia a questa religione. La Corte d’Appello di Firenze, confermava l’ingiunzione, ma aveva chiarito che il padre poteva comunicarle le proprie convinzioni religiose. Ritenendo di essere discriminato e che trattassero la sua religione come pericolosa e da evitare, adiva la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ritenendo che i giudici non fossero stati imparziali, trattando diversamente la sua religione e quella della ex compagna. La Convenzione sui diritti del fanciullo e la relazione della 70° Assemblea ONU del 2015 sulla libertà religiosa e l’eliminazione di ogni forma di intolleranza religiosa, sono molto chiari sui diritti/doveri dei genitori nell’educare i figli e nel prendere decisioni sul loro credo, soprattutto nel caso in cui ne professino due diversi. I genitori hanno la responsabilità primaria di sostenere il minore nell’esercizio dei suoi diritti umani, dovrebbero fornire una guida e una direzione appropriate al bambino a tale riguardo. I genitori non possono essere obbligati dallo Stato a rimanere religiosamente neutrali quando crescono i loro figli.
Le restrizioni imposte al padre dal Tribunale di Livorno erano nel supremo interesse della minore, stante il fatto che alla stessa va garantita una libertà di scelta sulle proprie convinzioni religiose e che la contestata decisione, essendo scaturita all’esito di un procedimento di volontaria giurisdizione, può essere modificata sia per il mutamento delle circostanze che l’hanno giustificata, sia per il reclamo presentato dal padre. In breve, per la CEDU l’intrusione nella serenità familiare del padre, operata dai giudici, era giustificata dalla tutela del supremo interesse della figlia a mantenere e promuovere il suo sviluppo in un ambiente aperto e pacifico, conciliando per quanto possibile i diritti e le convinzioni di ciascuno dei suoi genitori.
Dunque, il divieto non discrimina il padre, in quanto non ha influito sulla sua professione di fede, né sui suoi diritti genitoriali, in quanto le visite e la custodia della minore non hanno subito mutamenti. Non è stato perciò in alcun modo discriminato e/o punito per la sua religione. Si è voluto semplicemente preservare la minore dallo stress provocatole dal padre nel tentativo di coinvolgerla, anche contro la sua volontà, nelle sue pratiche religiose.
CEDU del 19 maggio 2022, caso T.C. c. Italia (ric. n. 54032/18)
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