LA DIVULGAZIONE WHATSAPP DI UN VIDEO INTIMO “RUBATO” INTEGRA IL DELITTO DI DIFFUSIONE DI RIPRESE FRAUDOLENTE
Un giovane veniva denunciato da una ragazza, la quale aveva ricevuto tramite WhatsApp un breve video, da lei non autorizzato, che la ritraeva. L’imputato, sia in primo che in secondo grado, veniva condannato per il reato di diffusione di riprese e registrazioni fraudolente, in quanto il ragazzo aveva diffuso mediante WhatsApp, una ripresa audio-video, effettuata fraudolentemente con il proprio telefono cellulare, di un incontro privato avvenuto con la ragazza che poi lo aveva denunciato. Tale video aveva ad oggetto le fasi immediatamente successive a un rapporto sessuale tra i due e la ragazza appariva in pose intime. Il ragazzo non ci stava e ricorreva in Cassazione e la sua difesa tentava di ridimensionare i fatti, sostenendo la mancata dimostrazione della diffusione del video incriminato a opera del ragazzo e ipotizzando che il video potesse essere stato estrapolato dal telefono della persona offesa e arrivando addirittura a proporre l’alternativa dell’accesso di un hacker all’interno del cellulare. La Cassazione però non condivideva la tesi difensiva, sostenendo la riconducibilità della diffusione dei video incriminato al giovane, alla luce, tra l’altro, delle dichiarazioni della persona offesa e dell’esito della perizia sul cellulare di lei e sul cellulare di lui. Circa la captazione fraudolenta delle immagini, e, quindi, l’assenza di consenso della persona offesa, tale elemento emergeva oltre che dalle modalità della ripresa, fugacemente realizzata subito dopo un rapporto sessuale, anche da alcune immagini del video, in cui la persona offesa esprimeva la propria sorpresa e contrarietà per quell’azione improvvisa, invitando l’autore a mettere da parte il telefono. I due ragazzi erano soli in auto quando vennero fatte le riprese, e il video era venuto in possesso della persona offesa solo dopo che era stato già diffuso, dovendosi di certo escludere altre possibili ricostruzioni dei fatti.
Nel caso di specie le modalità della condotta sono state chiaramente fraudolente, e la diffusione del video era imputabile al giovane, mentre il fine specifico da lui perseguito poteva trarsi dalla stessa oggettiva materialità della condotta, ovvero dalle modalità con le quali il filmato era stato realizzato, immediatamente dopo il rapporto sessuale e dal mezzo di diffusione del filmato, che era stato fatto circolare su una chat di amici, comuni anche alla persona offesa, elementi che apparivano direttamente esplicativi della precisa volontà di danneggiare la reputazione della vittima. La Corte dunque rigettava il ricorso confermando la condanna del giovane, evidenziando che ai fini dell’integrazione del reato di diffusione di riprese e registrazioni fraudolente, è richiesta la prova, ritraibile da ogni elemento utile, della sussistenza in capo al soggetto del dolo specifico, costituito dal fine di arrecare danno all’altrui reputazione o immagine (come nel caso di specie).
Cass. pen., sez. V, n. 2112 del 17.1.2025
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