L’EX MOGLIE CHE SI DEDICA ALLA FAMIGLIA HA DIRITTO ALL’ASSEGNO DIVORZILE A PRESCINDERE DAI MOTIVI CHE HANNO PORTATO I CONIUGI A TALE SCELTA.
A seguito dello scioglimento del matrimonio, sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano negato il diritto all’assegno divorzile a favore dell’ex moglie. La donna non ci stava e ricorreva in cassazione dolendosi per aver il giudice di merito ritenuto irrilevante la situazione di disparità reddituale tra gli ex coniugi, finendo per giustificare con la sua autosufficienza economica il rigetto della domanda di attribuzione dell’assegno. Tenendo invece conto della funzione perequativo-compensativa dello stesso, il giudice avrebbe invece dovuto effettuare una valutazione in concreto sull’adeguatezza del reddito della donna, rapportandolo al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare. Secondo la Giurisprudenza il giudice di merito è chiamato a svolgere una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. Ciò che bisogna tenere presente è il raggiungimento in concreto, da parte dell’ex coniuge richiedente, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate. Il Giudice deve dunque accertare la necessità di compensare il coniuge economicamente più debole per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte durante il matrimonio, idonee a condurre l’istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali-reddituali, la cui prova in giudizio spetta al richiedente. Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha contraddetto i principi giurisprudenziali, in quanto la stessa aveva affermato che non vi era la prova che il contributo della moglie alla vita comune avesse comportato serie rinunce ad attività professionali, dipendenti esclusivamente dalla scelta di dedicare maggior tempo ai figli e a lasciare più libero il marito nell’esplicazione della professione medica e di quella parallela di politico. Ma la Cassazione ha precisato che è irrilevante quale sia il motivo sotteso alla scelta di dedicarsi maggiormente alla famiglia, operata da uno dei coniugi e accettata dall’altro, né rilevava che tale scelta comportasse o meno una dedizione totale ed esclusiva al coniuge e ai figli. Per l’assegnazione dell’assegno divorzile ciò che conta è il sacrificio lavorativo o professionale per dedicarsi alla famiglia, senza che sia necessario che tale sacrificio si sostanzi in un abbandono totale del lavoro al di fuori della famiglia, né che il patrimonio familiare e quello dell’altro coniuge siano incrementati esclusivamente grazie al contributo del coniuge che ha operato tale sacrificio, essendo sufficiente un contributo di quest’ultimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, a scapito delle sue occupazioni lavorative o di avanzamenti di carriera. La sentenza impugnata veniva dunque annullata con rinvio alla Corte territoriale
Cass. civ., sez. I, ord., n. 27945 del 4.10.2023
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