CORTEGGIAMENTO ECCESSIVO NEI CONFRONTI DELLA COLLEGA: E’ STALKING.
Un uomo aveva intrapreso nei confronti di una sua collega un corteggiamento ossessivo, a lei sgradito. Inevitabilmente, dunque, l’uomo finiva sotto processo dove i giudici sia di primo che di secondo grado lo ritenevano colpevole del reato di stalking commesso attraverso una serie di molestie poste in essere sul luogo di lavoro in danno alla collega, e finalizzate a dare vita ad una relazione sentimentale, in realtà mai neanche ipotizzata dalla donna. L’uomo non ci stava e ricorreva in Cassazione, ritenendo priva di fondamento la tesi fornita dalla vittima, ma la Corte ribadiva che le dichiarazioni della persona offesa potevano essere legittimamente poste, da sole, a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità del soggetto sotto processo. Il racconto della donna trovava riscontri oggettivi nelle dichiarazioni di suoi colleghi, i quali condividevano con lei il luogo di lavoro e, in parte, avevano assistito alle condotte censurate e, in parte, ne erano addirittura stati strumento, poiché l’uomo, ad esempio, una volta era stato bloccato dalla donna nei contatti telefonici e sui social, e lui l’aveva raggiunta con i suoi messaggi sgraditi e molesti (ed anche con regali) proprio per il tramite delle colleghe di lavoro a lei più vicine. Secondo la Corte, un corteggiamento ossessivo e petulante, volto ad instaurare un rapporto comunicativo e confidenziale con la vittima, a ciò manifestamente contraria, realizzato mediante una condotta di fastidiosa, pressante e diffusa reiterazione di sequenze di saluto e contatto, invasive dell’altrui sfera privata, con intromissione continua, effettiva e sgradita nella vita della persona offesa e con lesione della sua sfera di libertà. Per i giudici non c’erano dubbi: le modalità ripetitive delle singole condotte, ritenute sintomatiche della rappresentazione e volontà dell’uomo di attuare il proprio disegno criminoso di persecuzione della persona offesa, configuravano la condotta del reato di stalking. L’uomo aveva fatto alla donna dei regali, in almeno due occasioni, per scusarsi del comportamento tenuto, e ciò rendeva altresì palese che egli era perfettamente consapevole della lesività delle sue condotte e della loro idoneità a turbare la tranquillità della donna. La Corte dunque rigettava il suo ricorso.
Cass. pen., sez V, sent. n. 38448 del 20.9.2023
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