MESSAGGI, TELEFONATE E PEDINAMENTI ALLA MOGLIE DOPO LA SEPARAZIONE: CONDANNATO PER STALKING.
Secondo i giudici di merito non vi erano dubbi sulla configurazione del reato di stalking in capo all’uomo che per due anni, a seguito della separazione, aveva perseguitato la moglie con messaggi, telefonate e pedinamenti, in particolare dal racconto della donna emergeva che tali comportamenti erano tutti caratterizzati da aggressività, minacce e offese ai suoi danni. L’uomo non ci stava e ricorreva in Cassazione. Tuttavia, secondo la Corte, erano inequivocabili i comportamenti tenuti dall’uomo finito sotto processo, in quanto era stato appurato che dopo la separazione tra i coniugi, preceduta da una vita coniugale caratterizzata da continui litigi, e dopo un iniziale periodo di relativa calma, l’uomo iniziava a ingiuriare e minacciare la moglie sia con messaggi e continue telefonate, anche notturne, sia quando si recava nella casa familiare per incontrare i figli sia quando la incontrava per strada, profferendo nei confronti della donna sia minacce di morte, ritenendola responsabile della distruzione della famiglia, sia insulti, anche alla presenza dei bambini e giungendo una volta, nella strada, dopo averla pesantemente ingiuriata (“vai facendo la p…a a quest’ora e rimani incustodita tua figlia in piazza da sola; domani ti mando gli assistenti sociali”), fino a sputare sulla donna. Questi comportamenti dell’uomo avevano avuto conseguenze evidenti poiché la donna, come riferito da lei stessa e dalla sorella, era così in preda all’ansia e alla paura da essere indotta a non uscire da sola. Ciò dunque era sufficiente per ritenere sussistente il reato di stalking, essendovi l’elemento dello stato di ansia e di paura ingenerato nella vittima. La Corte dunque confermava la condanna dell’uomo, rigettando il suo ricorso.
Cass. pen., sez. V, sent n. 36415 del 31.8.2023
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