RACCOGLIE DATI DI DONNE SINGLE DA FACEBOOK E NE RICAVA UN ELENCO CHE VENDE ONLINE: CONDANNATO.
Così finiva sotto accusa un uomo che utilizzava Facebook per raccogliere i riferimenti di oltre mille single tutte appartenenti alla stessa città, impiegando i loro dati per creare un e-book vendibile ad uomini in caccia di donne disponibili per avventure di una notte. Alcuni acquirenti dell’e-book iniziarono a contattare le donne per proporre loro appuntamenti a sfondo sessuale, portando dunque le ignare signore a scoprire l’elenco presente online, comprensivo di tutti i loro dati. Inevitabili dunque le conseguenti segnalazioni alle forze dell’ordine, con conseguente processo a carico dell’autore dell’e-book per la violazione della privacy delle donne inserite nell’elenco incriminato. I giudici di merito non avevano dubbi e ritenevano l’uomo colpevole, sia in primo che in secondo grado, di trattamento illecito di dati personali e di diffamazione. Per la difesa, però, la decisione presa dai giudici d’appello era eccessiva, soprattutto perché l’uomo si era limitato ad utilizzare una funzionalità di Facebook per mettere insieme dati, dunque, a suo dire, l’uomo avrebbe utilizzato quei dati per una finalità compatibile con quella per cui le donne presenti su Facebook avevano prestato il consenso, sin dall’inizio, sulla medesima piattaforma e gli stessi dati, peraltro, sarebbero stati accessibili a chiunque, anche non iscritto al social network, mediante una semplice ricerca di nome e cognome su qualunque motore di ricerca online. La Cassazione non era però dello stesso avviso, secondo la Corte la realizzazione e la messa in vendita, su un sito di e-book, di un elenco di 1218 donne, tutte qualificatesi su Facebook come single e come residenti nello stesso Comune, con elenco contenente nome, cognome, Comune di residenza, immagine e status sentimentale, con un link per ciascuna delle vittime, raffigurate con fotografia e link con cui si rimandava direttamente al profilo Facebook di riferimento, rappresentava di tutta evidenza una raccolta illecita di dati personali. L’uomo non si era limitato a ricercare sulla piattaforma i riferimenti di donne single residenti nello stesso territorio comunale, ma, all’insaputa di queste, li aveva estrapolati, catalogati e con tanto di fotografie ne aveva fatto un elenco, messo in vendita online. Evidente, dunque, l’indebito trattamento di dati personali, anche perché se era vero che tutte le persone offese avevano spontaneamente fornito proprio quei dati, in fase di iscrizione al social network o in un momento successivo, era altresì vero che ciò era avvenuto esclusivamente ed esplicitamente con riguardo alla funzione tipica della piattaforma, quale la creazione di una community di amici, conosciuti o da conoscere. Solo questa finalità, quindi, era stata espressamente accettata da tutte le persone offese, e solo per lo stesso scopo queste avevano fornito i propri dati personali. Nessuna delle donne coinvolte aveva mai prestato il consenso (libero, specifico, informato ed inequivocabile) per un uso diverso degli stessi dati. I giudici riconoscevano che il termine single, di per sé, non possedeva alcuna valenza negativa, ma aggiungevano che la sua accezione poteva assumere un significato particolare se contenuto in un elenco realizzato inserendovi solo donne accomunate dallo stesso status, realizzato a loro insaputa e venduto online “al costo di un drink” al solo fine di rendere nota a chiunque l’assenza di legami sentimentali. Inoltre, tutte le persone offese avevano accusato un malessere, sotto forma di umiliazione, di sconcerto e di frustrazione, una volta appreso di essere state inserite nell’e-book. Pienamente riconosciuta la sussistenza del reato di diffamazione, per l’inevitabile compromissione della dignità della donna, coinvolta in un sistema di catalogazione ed etichettatura, al fine di essere individuato e scelto da un pubblico di fruitori, la Corte non poteva che rigettare il ricorso dell’uomo.
Cass. pen., sez. III, sent. n. 33964 del 2.8.2023
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