L’UTILIZZO DEL COLLARE ANTIABBAIO COSTA UNA CONDANNA PER DETENZIONE DI ANIMALE IN CONDIZIONI INCOMPATIBILI CON LA SUA NATURA.
Un uomo aveva utilizzato sul suo cane il collare antiabbaio, ossia un collare che infliggeva una scossa elettrica all’animale appena cominciava ad abbaiare. Tutto partiva dall’operato di un agente di polizia giudiziaria, il quale ritrovava un cane smarrito e notava, appunto, che l’animale portava un collare antiabbaio, provvisto di due pioli di metallo che, a contatto diretto con il collo, emettevano scosse elettriche ad ogni vibrazione delle corde vocali, con conseguente dolore, così di fatto impedendo al cane di abbaiare. La testimonianza dell’agente era ritenuta decisiva dai giudici di merito, poiché egli aveva potuto verificare che quella funzionalità del collare era attiva al momento del controllo e rilevando il codice impresso sul collare, aveva acquisito il relativo manuale d’uso che confermava l’automatico funzionamento dell’apparecchio. Il padrone del cane veniva dunque condannato per maltrattamenti ai danni dell’animale e veniva sanzionato con 3.000 euro di ammenda. Il padrone del cane ricorreva in Cassazione, sostenendo che non si trattasse di un collare antiabbaio, bensì di un collare da addestramento, suscettibile di provocare scosse elettriche, e quindi dolore all’animale, nel solo caso di utilizzo attraverso un apposito comando azionato a distanza. Di conseguenza, a suo dire, per parlare di maltrattamenti ai danni del cane occorreva dimostrare il concreto utilizzo dell’apparecchio in modalità produttiva di scossa elettrica con conseguenti gravi sofferenze inflitte all’animale. La Cassazione però evidenziava il dato di fatto raccolto dai giudici di merito, ossia che il collare portato dall’animale non apparteneva alla tipologia di quelli suscettibili d’essere comandati a distanza, bensì a quelli che determinavano in automatico scosse elettriche al primo latrare del cane. Non poteva dunque che confermarsi la condanna dell’uomo, anche tenendo conto del fatto che nel non breve tempo in cui il cane si era allontanato dal padrone, percorrendo almeno 7 chilometri e vagando in strada così da ostacolare il traffico, esso aveva ragionevolmente abbaiato, così azionando gli impulsi elettrici produttivi di quelle gravi sofferenze che certamente integravano il reato di detenzione dell’animale in condizioni incompatibili con la sua natura. Il ricorso dell’uomo veniva dunque rigettato.
Cass. pen., sez. III, sent. n. 35847 del 28.8.2023
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