SOTTRAE LO SMARTPHONE ALLA MOGLIE: MARITO CONDANNATO PER RAPINA.
Una donna si era ritrovata a sopportare gli atti persecutori e le violenze compiute ai suoi danni dal marito, che peraltro aveva sottratto lo smartphone alla moglie. Per i giudici di merito non vi erano dubbi sulla colpevolezza dell’uomo, provata dalle dichiarazioni della persona offesa, corroborate da una registrazione audio scaricata sul cellulare di lei e da messaggi su supporto informatico, che veniva condannato per i delitti di rapina, stalking e lesioni personali ai danni della consorte, a tre anni e cinque mesi di reclusione e 1.500 euro di multa. Inutile il ricorso in Cassazione dove il legale dell’uomo aveva evidenziato che le dichiarazioni della donna, registrazione e messaggi non potevano sostenere una condanna, in quanto facilmente alterabili. Inoltre, il legale contestava il reato di rapina spiegando che l’episodio preso in esame consistente nella brevissima e temporanea sottrazione dello smartphone, mirata solo a conoscere il nome del legale della donna, era catalogabile come una forma di furto d’uso o di violenza privata, poiché la finalità perseguita non aveva avuto alcun riflesso patrimoniale, presupposto essenziale, invece, per ritenere accertato il delitto di rapina. Secondo la Corte, le prove erano genuine e, comunque, la registrazione fonografica di colloqui tra presenti, eseguita d’iniziativa da uno dei partecipi al colloquio, costituiva prova documentale, utilizzabile come tale in dibattimento, e non intercettazione ambientale, soggetta ad una disciplina ad hoc. Per quanto riguardava la sottrazione del sanzione dello smartphone, la Corte condannava definitivamente l’uomo, ritenuto colpevole del reato di rapina proprio per avere strappato di mano lo smartphone alla moglie. Nel delitto di rapina il profitto può concretarsi in qualsiasi utilità, anche solo morale, in qualsiasi soddisfazione o godimento che la persona che agisce si riprometta di ritrarre, anche non immediatamente, dalla propria azione, purché questa sia attuata impossessandosi con violenza o minaccia della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene. La Corte rigettava dunque il ricorso, confermando la condanna per rapina.
Cass. pen., sez. II, n. 29360 del 6.7.2023
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