PRELIEVO DELLA MOGLIE DAL CONTO CORRENTE COINTESTATO: DOVRA’ RESTITUIRE LA SOMMA.
Un uomo aveva versato su un conto deposito titoli cointestato con la moglie, fittiziamente e per ragioni di opportunità, le azioni che gli erano state donate dalla madre. Durante la separazione la moglie aveva prelevato da tale conto deposito ben € 224.824,60. Per tale ragione l’uomo citava in giudizio la moglie per sentirla condannare alla restituzione della somma illegittimamente prelevata. Le domande sono state accolte dal Tribunale che ha altresì contestualmente rigettato le domande riconvenzionali risarcitorie svolte dalla convenuta sul presupposto di avvenuti asseriti indebiti prelievi da parte del marito su alcuni conti correnti comuni. Tale esito veniva parzialmente riformato dalla Corte d’Appello, la quale riteneva fondata la domanda riconvenzionale risarcitoria della moglie limitatamente al 50% di € 5.500,00 prelevati dal marito, condannandola alla restituzione di un importo di poco inferiore rispetto a quello da lei prelevato, ossia € 222.074,60, oltre interessi. La donna non ci stava e ricorreva in Cassazione avverso la pronuncia della Corte d’Appello, formulando ben tredici motivi di censura, la sentenza impugnata sarebbe stata erronea per non aver considerato che il versamento delle azioni sul conto deposito titoli cointestato ai coniugi e utilizzato per le esigenze della famiglia costituiva una donazione indiretta da parte del marito, con la conseguenza che si sarebbe al più dovuta restituire la metà dell’importo prelevato. La Corte, però, non accoglieva la tesi, sulla base di una serie di argomenti, primo tra tutti quello per cui l’eguaglianza delle quote di un conto bancario cointestato rappresentava una presunzione legale che poteva essere superata anche attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti; per la validità delle donazioni indirette non era richiesta la forma dell’atto pubblico, risultando sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità; la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito costituiva una donazione indiretta soltanto a condizione che fosse verificato, al momento dell’atto, l’animus donandi del proprietario dell’importo. L’uomo aveva ribadito che il versamento delle azioni era del tutto fittizio e discendente da mere ragioni di opportunità e la moglie, pur essendone onerata, non aveva dimostrato l’asserito spirito di liberalità del marito.
Il ricorso veniva dunque rigettato, con conseguente condanna della donna alla rifusione delle spese di lite.
Cass. civ., sez. I, ord., n. 9197 del 3.4.2023
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