FIGLIO MAGGIORENNE CON LAVORO A TEMPO DETERMINATO: ADDIO ALL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO.
Ufficializzata la separazione personale fra due coniugi, restava da stabilire il mantenimento spettante al figlio maggiorenne con un lavoro a tempo determinato in un call center. In particolare, il padre evidenziava che la moglie svolgeva attività lavorativa e che il figlio, che viveva con lei, era stato sostenuto negli studi ed aiutato a raggiungere la sua indipendenza economica. Tuttavia la donna evidenziava che il figlio aveva iniziato a lavorare part-time con uno stipendio mensile di circa 400 euro e che successivamente egli si era momentaneamente trasferito in un altro Comune per lo svolgimento della sua attività lavorativa, di volta in volta rinnovata tramite contratti a tempo determinato, con reddito di circa 450 euro mensili. Questi elementi non sono sufficienti, secondo il ragazzo, per mettere in dubbio il mantenimento paterno, poiché il lavoro presso un call center non consentiva guadagni sufficienti per il soddisfacimento dei bisogni primari e la permanenza presso l’appartamento della fidanzata in un altro Comune era limitato ai giorni lavorativi.
I giudici richiamavano il dettaglio principale: il figlio aveva ormai 30 anni e lavorava da più anni in un call center con contratti rinnovati di periodo in periodo, per uno stipendio di 450 euro mensili circa, coabitando con la fidanzata in un appartamento in città diversa da quella in cui viveva la madre, e difatti ritornava a casa della madre nei fine settimana, pur avendo trasferito i suoi effetti personali presso l’appartamento che condivideva con la fidanzata. Secondo i giudici ciò era sufficiente per revocare l’assegno di mantenimento paterno. I Giudici sottolineavano che il figlio si era ormai inserito nel mondo del lavoro ed aveva una capacità lavorativa che lo rendeva economicamente indipendente. Infatti il mantenimento del figlio maggiorenne, sostenuto negli studi e nell’inserimento del mondo del lavoro, non poteva essere protratto all’infinito, in quanto serviva a garantirgli il soddisfacimento dei bisogni primari sino a che non riusciva ad inserirsi nel mondo del lavoro. Una volta che il figlio avesse tutti gli strumenti necessari per svolgere una attività remunerativa, trovando un primo impiego, magari non del tutto soddisfacente o corrispondente alle proprie aspirazioni, non si poteva ritenere sussistente il suo diritto all’assegno di mantenimento. Chiaramente, la valutazione deve avvenire caso per caso, a seconda del tipo di impiego reperito, della stabilità dell’occupazione, della remunerazione prevista, tenendo però conto delle condizioni economiche della famiglia e dell’età del figlio.
Nel caso di specie sebbene il rapporto di lavoro fosse a tempo determinato, esso veniva rinnovato da anni e la ridotta remunerazione era comunque coerente con il basso reddito familiare, inoltre bisognava considerare l’età del ragazzo e la sua situazione di convivenza con la fidanzata. Il Tribunale dunque revocava il mantenimento.
Trib. Cosenza, sez. II, sent., del 2.1.2023
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