LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE POCO COLLABORATIVO.
Il lavorare, dipendente di un’azienda informatica si mostrava poco collaborativo e reattivo, mostrandosi passivo, ignorando, sostanzialmente, le richieste fattegli dal diretto superiore e mirate, tra l’altro, a spingerlo ad un importante aggiornamento professionale con formazione ad hoc. L’azienda era giunta alla decisione del licenziamento dopo due episodi rilevanti: in un’occasione egli si era rifiutato di approfondire lo studio di due sistemi operativi, come richiestogli dal suo diretto superiore, sebbene non impegnato in altre commesse, peraltro tale formazione non avrebbe comportato spese a carico del dipendente, né la necessità di usufruire di permessi o di sacrificare il proprio tempo libero, risultando prive di fondamento quindi le giustificazioni addotte dal lavoratore a sostegno del proprio rifiuto; in un’altra occasione egli aveva tenuto un comportamento passivo e privo di spirito di collaborazione presso un cliente dell’azienda, rifiutando di svolgere attività di aggiornamento dei sistemi presso quella società sebbene rientranti nelle sue competenze sistemistiche generali. Ritenuta palese e di rilevante gravità la condotta di insubordinazione tenuta dal dipendente, l’azienda optava per il licenziamento del dipendente, evidenziando la volontarietà del comportamento posto in essere dallo stesso. I giudici di primo e secondo grado condividevano tale visione e respingevano ogni obiezione del lavoratore, confermandone il licenziamento. Inutile anche il ricorso in Cassazione proposto dal dipendente, in quanto la Corte aveva confermato anche in terzo grado il licenziamento, chiarendo che le attività che il lavoratore avrebbe dovuto svolgere presso la società cliente della sua azienda rientravano nelle sue competenze sistemistiche generali, non risultando quindi l’inquadramento formale elemento decisivo e utile, come sostenuto invece dal lavoratore, a giustificarne il rifiuto di assolvere il compito affidatogli dal superiore. Ma non solo: era palese anche la gravità dell’insubordinazione realizzata dal dipendente, senza alcuna giustificazione, in modo persistente e volontario, in aperto contrasto con l’obbligo di diligenza e di esecuzione delle disposizioni dettate dai superiori gerarchici, anche riferite alle esigenze di formazione e accrescimento professionale necessarie per il suo proficuo impiego. Consequenziale, e quindi legittimo, il licenziamento deciso dall’azienda informatica. La Corte rigettava il ricorso.
Cass. civ, sez. Iav., ord., n. 12241 del 9.5.2023
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