ALL’EX MARITO NON VIENE ASSEGNATA LA CASA CONIUGALE MA CI RIMANE AD ABITARE: NO ALL’INDENNITÀ DI OCCUPAZIONE PER L’EX MOGLIE
Così la Suprema Corte accoglieva il ricorso dell’uomo, portato in giudizio dall’ex moglie, che ne aveva chiesto la condanna al pagamento di un importo non inferiore a 250 euro mensili a titolo di indennità di occupazione dell’immobile acquistato, durante il matrimonio, in regime di comunione, nel quale il convenuto era rimasto ad abitare nonostante il rigetto della sua domanda di assegnazione della casa coniugale. Secondo quanto prevede il codice civile, nel sistema della comunione del diritto di proprietà per quote ideali ciascun partecipante gode del bene comune in maniera diretta e promiscua, cioè come può, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca l’esercizio delle pari facoltà di godimento che spettano agli altri comproprietari. Se la natura del bene di proprietà comune non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari (come accertato in fatto per l’abitazione coniugale in questione), l’uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure, appunto, mediante avvicendamento con un uso turnario da parte dei comproprietari. Pur essendo pacifica in giurisprudenza l’affermazione secondo cui il condividente che non tragga diretto godimento dal bene in comunione, possa chiedere la propria quota parte dei frutti del bene al condividente che invece ne abbia il concreto godimento, non appare condivisibile la decisione del giudice di secondo grado che ha ritenuto di riconoscere il diritto ad indennità della donna a far tempo dalla sentenza di separazione dei coniugi, in mancanza di una richiesta di rilascio del bene in favore della controricorrente ovvero di istanza di uso turnario del bene medesimo o di richiesta da parte della stessa di ricevere la quota parte dei frutti non goduti (pertanto, in mancanza di accertamenti circa le concrete richieste della condividente non beneficiaria del bene a ricevere siffatti frutti). Nel caso di specie l’oggetto di comunione è l’abitazione coniugale e dunque una cosa per definizione idonea a produrre frutti civili, di cui l’ex marito ha goduto in via esclusiva. Sulla base di tali premesse di fatto, la Corte d’appello ha falsamente applicato (invece delle norme sulla comunione) l’art. 1148 c.c., che disciplina il caso, affatto diverso, della sorte dei frutti naturali o civili percepiti dal possessore di buona fede il quale debba restituire la cosa al rivendicante. Tale norma regola l’attribuzione dei frutti nel conflitto esterno tra possessore in buona fede e proprietario, e dunque non può operare per disciplinare il diverso problema della ripartizione interna fra più comproprietari dei frutti ritratti o ritraibili dalla cosa comune. Come detto, dunque, la Corte ha accolto il ricorso, nessuna indennità di occupazione è dovuta all’ex moglie.
Cass. civ., sez. II, ord., 18 aprile 2023, n. 10264
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