LAVORATORE SI SOTTRAE ALLE ISTRUZIONI IMPARTITE DAL SUPERIORE PER MOTIVI DI SALUTE: ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO.
Un lavoratore si sottraeva, per ragioni connesse al suo stato di salute, ad un compito affidatogli, ribellandosi al proprio superiore utilizzando, altresì, un linguaggio scurrile. Per i Giudici non c’erano dubbi circa la colpevolezza del lavoratore che aveva compiuto una insubordinazione, ma questa non poteva considerarsi grave, cioè non così forte da giustificare l’allontanamento deciso dall’azienda, in quanto il licenziamento avrebbe privato dei mezzi di sostentamento non solo il lavoratore ma anche la sua famiglia, dunque, sia in primo che in secondo grado veniva ribadita l’illegittimità del licenziamento deciso dalla società datrice di lavoro, che si ritrovava obbligata a reintegrare il dipendente e a versargli cinque mensilità di retribuzione come risarcimento.
L’illegittimità veniva confermata dalla Cassazione, la quale evidenziava che in esito alla ricostruzione del fatto addebitato al lavoratore attraverso le risultanze dell’istruttoria svolta si erano valutati il fatto e le modalità con le quali la condotta era stata posta in essere, anche sotto il profilo dell’impatto nell’ambiente di lavoro circostante e senza trascurare l’inopportunità e la sgradevolezza del comportamento, ma, tuttavia, si era ritenuto che nel suo complesso il fatto contestato al lavoratore non potesse essere ricondotto alla grave insubordinazione verso i superiori che doveva connotare la condotta che poteva essere sanzionata con il licenziamento.
La nozione di insubordinazione non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma ricomprende anche qualsiasi comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione e il corretto svolgimento delle suddette disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale, tuttavia ove la contrattazione collettiva ancori, come in questo caso, l’irrogazione della massima sanzione alla gravità della condotta nei confronti dei superiori, all’esistenza di minacce o di vie di fatto, al rifiuto di obbedienza ad ordini, allora non qualunque comportamento poteva essere causa di licenziamento ma solo quello che, per le sue caratteristiche proprie, si palesava ingiustificatamente in netto contrasto con gli ordini impartiti.
Andava quindi ricondotto all’insubordinazione, ma non grave, la sottrazione da parte del lavoratore ad uno dei compiti richiesti per ragioni connesse al suo stato di salute, seppur utilizzando un linguaggio molto volgare e, dunque, il comportamento accertato, seppur illecito, andava considerato non punibile con la più grave delle sanzioni disciplinari, in quanto si trattava di episodi delimitati, tale da privare dei mezzi di sostentamento il lavoratore e la sua famiglia.
Cass. civ, sez. lav., ord., n. 4831 del 16.2.2023
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