LA FREQUENTAZIONE ANCHE STABILE CON UN NUOVO PARTNER NON COMPORTA AUTOMATICAMENTE LA PERDITA DELL’ASSEGNO DIVORZILE.
Il Tribunale di Roma dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio di due coniugi e affidava la figlia minore ad entrambi i genitori, con collocamento presso la madre nella casa coniugale a lei assegnata. L’ex marito impugnava la decisione dinanzi la Corte d’Appello di Roma, la quale disponeva la revoca, a decorrere dalla domanda, dell’assegno divorzile a carico dell’uomo e a favore della moglie, fissando il contributo per il mantenimento dei tre figli in € 7.000 mensili. I giudici dell’appello, esaminate in particolare le relazioni investigative allegate dal marito, le dichiarazioni rese dall’ex moglie e dai figli maggiorenni, nonché la documentazione bancaria prodotta e le risultanze anagrafiche, rilevavano la costituzione di un legame pluriennale della signora con un altro uomo, caratterizzato da ufficialità e da una frequentazione quotidiana con periodi più o meno lunghi di convivenza, evidenziando l’esistenza di un rapporto affettivo caratterizzato da mutua assistenza morale e materiale e da una tendenziale stabilità, risultando costituito un nucleo familiare di fatto, a prescindere dall’instaurazione di una stabile convivenza, per tali ragioni la Corte revocava l’assegno divorzile della donna.
La donna proponeva ricorso per Cassazione, ritenendo errata la decisione dei giudici di secondo grado di revocare l’assegno divorzile per il solo fatto che vi fosse una relazione stabile con un nuovo partner. Secondo la Cassazione, non poteva escludersi automaticamente e per l’intero il diritto all’assegno divorzile qualora il beneficiario avesse instaurato una stabile convivenza di fatto con un terzo. L’assegno avrebbe potuto essere rimodulato, in sede di revisione, o quantificato, in sede di giudizio per il suo riconoscimento, in funzione della sola componente compensativa, purché, al presupposto indefettibile della mancanza di mezzi adeguati, si sommasse il comprovato emergere di un contributo, dato dal coniuge economicamente più debole con le sue scelte personali e condivise in favore della famiglia, alle fortune familiari e al patrimonio dell’altro coniuge, che rimarrebbe ingiustamente sacrificato e non altrimenti compensato se si aderisse alla caducazione integrale.
La Corte, dunque, accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione per una nuova decisione.
Cass. civ., sez., ord., n. 5510 del 22.2.2023
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