COPPIA DI DONNE OMOSESSUALI E PROCEDURA DI PMA SVOLTA ALL’ESTERO: IN ITALIA LA MADRE NELL’ATTO DI NASCITA E’ ESCLUSIVAMENTE LA DONNA PARTORIENTE.
La vicenda riguarda la nascita in Italia di bambini concepiti all’estero, a seguito del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita da parte di una coppia di donne, unite civilmente. Le due donne, infatti, si erano recate a Barcellona, al fine di intraprendere un procedimento di procreazione medicalmente assistita (c.d. PMA), presso una clinica autorizzata, la quale avrebbe sottoposto a fecondazione i gameti depositati da una delle due per poi impiantarli, per il compimento della gravidanza, nell’utero dell’altra.
A seguito della nascita dei figli della coppia, avvenuta a giugno, in Italia, l’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Anghiari (AR), nella formazione dell’atto di nascita dei minori, attribuiva la qualità di madre solo alla donna che li aveva partoriti, rifiutando di attribuire simile qualità anche all’altra donna e, dunque, di aggiungere il cognome di quest’ultima. Le donne non ci stavano e presentavano ricorso in Tribunale, chiedendo di riconoscere il legame di filiazione intercorrente fra i figli e tanto la madre partoriente, che quella biologica e, per l’effetto, di ordinare all’Ufficiale di Stato Civile, l’integrazione dell’atto di nascita dei figli minori mediante l’aggiunta del cognome della madre biologica. In tale giudizio si costituivano il Ministero dell’Interno e il Comune, resistendo al ricorso e chiedendone il rigetto. La legge n. 40 del 2004, non consente l’accesso alla procreazione medicalmente assistita alle coppie omosessuali, prevedendo sanzioni amministrative a carico di chi applichi le tecniche di PMA a coppie dello stesso sesso, tale scelta legislativa è già stata confermata dalla Corte Costituzionale che di fatto ha osservato, che l’infertilità fisiologica della coppia omosessuale non è omologabile a quella della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive e, che comunque, la Costituzione non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli. Così anche la legge sulle Unioni Civili, sebbene riconosca dignità sociale delle coppie omosessuali, non consente comunque la filiazione, adottiva o per fecondazione assistita, in loro favore. Per ultimo, il Tribunale evidenziava che, pur nella consapevolezza della sussistenza, sul piano fattuale, di un concreto rapporto genitoriale non solo intenzionale ed affettivo ma anche biologico tra i minori e le ricorrenti, affermava di non poter conferire allo stesso il riconoscimento sul piano giuridico richiesto, data la mancanza, allo stato attuale, di strumenti normativi tali da consentire l’accoglimento della domanda. Di fatto, il Tribunale non può assumere una funzione normativa estranea alle sue attribuzioni: il potere giudiziario, infatti, non può sostituire le proprie valutazioni con quelle spettanti a quello legislativo, cui solo compete l’individuazione degli strumenti giuridici più idonei allo scopo, e necessari anche al fine di assicurare uniformità di tutela su tutto il territorio nazionale. Il Tribunale doveva dunque rigettare il ricorso della coppia delle due donne.
Trib. Arezzo, sez. civ., decreto del 10.11.2022
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