TELEFONATE A RAFFICA: SUSSISTE IL REATO DI MOLESTIA ANCHE SE IL DESTINATARIO DELLE CHIAMATE NON RISPONDE.
Un uomo tempestava di telefonate una donna e finiva sotto processo per tale condotta, anche se la donna aveva evitato quasi sempre di rispondere. In Tribunale l’uomo veniva condannato a pagare 200€ di ammenda, oltre al risarcimento dei danni cagionati alla donna, perché ritenuto colpevole del reato di molestie per aver effettuato continue telefonate sull’utenza del suo cellulare.
Ricorso in Cassazione, l’uomo si difendeva evidenziando che dai tabulati telefonici emergeva che il numero di telefonate indirizzate alla donna era nettamente inferiore a quanto da lei dichiarato, non potendosi dunque ritenere integrata quella concentrazione tale da configurare il reato di molestie. Inoltre, secondo la difesa, le telefonate che avevano avuto una durata tale da permettere un’effettiva conversazione fra i due interlocutori erano solo 4, distribuite nell’arco di un mese, mentre in tutti gli altri casi l’uomo aveva effettuato dei meri tentativi di chiamate ed in una giornata l’uomo aveva effettuato 47 chiamate alle quali la donna non aveva risposto non perché volesse evitare l’uomo, bensì perché era impegnata in un’altra chiamata e, di conseguenza, la sua utenza risultava occupata. Infine, il legale evidenziava che l’uomo contattava la donna al fine di ottenere dei documenti che avrebbero dovuto essergli consegnati dal defunto marito della donna e non, quindi, per biasimevoli motivi.
La Corte però non condivideva le tesi difensive. Il fatto che la donna non avesse risposto, non faceva venire meno il carattere di petulanza nella condotta tenuta dall’uomo, palesemente invasiva dell’altrui sfera privata, tra l’altro protrattasi per un apprezzabile lasso di tempo. Alla luce di questi elementi non poteva ridimensionarsi la gravità della posizione dell’uomo caratterizzata da ripetute chiamate ed un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella sfera di libertà della donna.
La Corte quindi confermava la condanna per molestie.
Cass. pen., sez. I, n. 23186 del 14.6.2022
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