IL PADRE SI COMPORTA COME UN DESPOTA: CONDANNATO PER MALTRATTAMENTI.
Protagonista della vicenda era un uomo che, tra le mura domestiche, si comportava come un sovrano assoluto, imponendo alla compagna e ai figli un atteggiamento estremamente autoritario. La compagna e i figli decisero di denunciarlo per maltrattamenti per aver fatto loro vivere un clima di terrore a causa delle sue manie autoritarie. I Giudici di merito condannavano l’uomo sia in primo che in secondo grado, ritenendolo colpevole di maltrattamenti ai danni della compagna e dei figli e sanzionandolo con 2 anni e 6 mesi di reclusione. L’uomo non ci stava e ricorreva in Cassazione, contestando tramite il suo difensore i comportamenti a lui attribuiti e consistiti in schiaffi ai figli minori, manifestazioni di rabbia ad ogni contrarietà, minacce e insulti alla compagna e numerosi eccessi di ira. Secondo la sua difesa l’aver imposto alla compagna e ai figli rigide regole di vita, non tollerando alcuna obiezione o discussione, imponendo orari netti e precisi per il rientro a casa, regole maniacali per l’igiene e la pulizia, nonché il silenzio assoluto in casa e vietando giochi e rumori ai figli e dando pochissimi soldi alla convivente per le sue esigenze di vita, non potevano considerarsi comportamenti integranti il reato di maltrattamenti, risolvendosi sostanzialmente in un esercizio di pressione, seppur eccessiva, ma che non significava far vivere ai familiari in un clima di ansia e paura.
La Corte però riteneva l’agire dell’uomo eccessivamente autoritativo che costringeva i figli e la compagna ad uno stato di vessazione, sopraffazione e costante paura. Anche le sole condotte ispirate al maniacale rispetto di regole di igiene e di disciplina erano comunque catalogabili come maltrattamenti in famiglia laddove si risolvevano nell’instaurazione di un clima di vessazione e sopraffazione che ledeva sistematicamente la libertà morale e la dignità dei familiari dell’uomo, esattamente come nel caso di specie.
La Corte rigettava quindi il ricorso dell’uomo, confermando la condanna.
Cass. pen., sez. VI, n. 14518 del 13.4.2022
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