La dipendente di un ospedale, rientrata dal congedo di maternità, veniva denigrata dal personale medico del reparto, sottoposta a forme eccessive di controllo, e assegnata allo svolgimento di mansioni che implicavano l’utilizzazione di macchinari nuovi senza prima ricevere un’adeguata formazione.
Per i Giudici di merito era evidente che l’azienda ospedaliera non avesse salvaguardato la salute psichica della lavoratrice, che, peraltro, da anni era in cura presso il Dipartimento di salute mentale, causandole una seria depressione. In primo grado le veniva quindi riconosciuto un risarcimento danni per più di 42.000 euro, per il danno subito a causa della condotta dell’azienda ospedaliera, catalogabile come mobbing e dequalificazione professionale. La Corte d’Appello, dinanzi la quale l’azienda aveva impugnato la decisione del Tribunale, le riconosceva un ulteriore risarcimento per 30.426 euro che l’azienda ospedaliera doveva versarle per il danno biologico subito e concretizzatosi in un’invalidità temporanea.
Non concorde l’azienda ospedaliera ricorreva in Cassazione evidenziando il disagio psichico vissuto dalla donna già prima del rientro al lavoro e riferito a vicende esclusivamente personali, non potendo ignorarsi quindi il quadro patologico della lavoratrice.
La Corte, però, evidenziava che in appello era stato tenuto conto della situazione psicologica di fragilità della lavoratrice e si era chiarito che su di essa si era innestata la condotta illecita dell’azienda ospedaliera che aveva prodotto il danno. In particolare, lo stato di salute della donna avrebbe potuto assumere rilevanza ai fini della quantificazione del risarcimento solo qualora, in epoca antecedente al fatto illecito attribuito all’ospedale, ella fosse stata già affetta da patologia con effetti invalidanti. Nella vicenda in esame, però, ci si trovava di fronte ad un mero stato di vulnerabilità, ossia una predisposizione non invalidante in sé.
La Corte d’appello aveva, quindi, correttamente evidenziato che la patologia depressiva della lavoratrice era direttamente dipendente dalla matrice stressante dell’organizzazione che aveva pressato una personalità i cui meccanismi di risposta non erano del tutto efficaci. Essendo stata acclarato che la patologia invalidante, cioè la depressione che aveva colpito la donna, era insorta solo a seguito della condotta tenuta dal datore di lavoro, non poteva che confermarsi il risarcimento dei danni pari, in totale, ad oltre 72.000 euro.
Cass. civ., sez. lav., ord., n. 31742 del 4.11.2021
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