Un uomo entrava in possesso di uno smartphone rubato, a seguito delle indagini prevalentemente eseguite sul cellulare, che conteneva ancora la sim del proprietario, finiva sotto accusa per il reato di ricettazione.
I giudici di merito condannavano l’uomo, ritenuto colpevole della ricettazione di uno smartphone sottratto al legittimo proprietario. Non concorde l’uomo ricorreva in Cassazione, tentando di far riconoscere la non punibilità per la ridotta rilevanza dei fatti, anche tenendo presente il valore economico del telefonino.
La Corte, però, escludeva l’ipotesi della non punibilità, ritenendo innanzitutto rilevante il reato attribuito all’uomo sotto processo, in quanto l’uomo non aveva saputo dimostrare a quale titolo possedeva il bene che era di provenienza furtiva.
Relativamente alla rilevanza da attribuire alla condotta dell’uomo, la Corte, concordemente con i giudici di primo e secondo grado, riteneva evidente la gravità del danno cagionato al proprietario del telefono, non tanto per il valore intrinseco del bene, quanto, piuttosto, ragionando sull’appropriazione di dati sensibili attinenti alla sfera riservata del proprietario del cellulare e custoditi nello smartphone.
Essendo l’intrusione nella privacy del proprietario del cellulare pericolosa e non autorizzata, la condotta dell’uomo sotto processo non poteva che essere considerata grave e quindi legittimare la condanna. La Corte dichiarava inammissibile il ricorso.
Cass. pen., sez. II, n. 39584 del 4.11.2021
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