Due coniugi adivano il Tribunale per ottenere la pronuncia di divorzio, la donna insisteva per vedersi riconosciuto un assegno divorzile. Il Tribunale sanciva che l’uomo avrebbe dovuto versare all’ex moglie 1.400 euro al mese. In appello l’uomo chiariva che la donna era in possesso della laurea in Fisioterapia che la abilitava a svolgere attività lavorativa come fisioterapista, che non sfruttava, limitandosi ad esercitare l’attività di istruttrice di pilates con corsi presso la casa coniugale, sulla base di tali fatti, la Corte d’appello riduceva l’assegno a 900 euro mensili.
La donna ricorreva in Cassazione, la quale però confermava quanto deciso in secondo grado dove i giudici avevano fondato le proprie valutazioni non su una mera equiparazione economica dei patrimoni dei due coniugi bensì su una pluralità di fattori quali l’assegnazione alla donna della casa familiare ed il conseguente esonero di spesa per la locazione e per la gestione della casa, la capacità della donna di svolgere attività lavorativa come fisioterapista (che però non svolgeva), la lunga durata del matrimonio, la contribuzione offerta dalla donna al successo professionale del marito ed alla formazione del cospicuo patrimonio immobiliare, l’agiato tenore di vita vissuto dalla famiglia nel suo complesso durante la convivenza matrimoniale e la posizione economica e professionale del marito. La donna, inoltre non aveva dato prove circa la carenza di risorse economiche e l’impossibilità di procurarsele.
La Corte, quindi, confermava l’assegno divorzile così come ridotto in appello e rigettava il ricorso.
Cass. civ., sez. VI – 1, ord., n. 26389 del 29.9.2021
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