SI FA CONVINCERE A FIRMARE DUE REGISTRI E SI RITROVA SPOSATA: IL MATRIMONIO E’ NULLO
Una donna era rimasta vittima della condotta di un uomo, tesa a carpirne la volontà, tradendo la sua buona fede e approfittando della sua incapacità di autodeterminarsi, mediante l’insistente richiesta, per infine cedere ed apporre la sua firma su due registri presenti su un banchetto all’ingresso di una chiesa dove l’uomo – ideatore del piano – l’aveva condotta, facendole credere che si trattasse di libri dove firmavano i visitatori.
Ricorrendo in Cassazione, l’uomo chiedeva venisse riconosciuta la validità del matrimonio, mettendo in discussione l’incapacità di intendere e di volere della donna al momento della celebrazione, evidenziando elementi che provavano la sua capacità di giudizio al momento del matrimonio, come, ad esempio, il rilascio, ad opera della donna, della procura per le pubblicazioni di matrimonio. Evidenziava, inoltre, l’assenza di pregiudizi subiti dalla donna in conseguenza del matrimonio e di profitti da lui ottenuti dalla frequentazione pubblica nel periodo precedente al matrimonio, richiamando poi l’assoluzione in sede penale dal reato di falso in atto pubblico e i danni a livello affettivo da lui subiti, in conseguenza del procedimento penale promosso nei suoi confronti, per avere visti frustrati i suoi buoni propositi.
La Cassazione riteneva però accertata l’incapacità di intendere e di volere della donna al momento della celebrazione del matrimonio. Tale dato era di per sé già sufficiente per ritenere nullo il matrimonio, in quanto poteva essere invalidato per la mera sussistenza dell’incapacità di intendere e volere del coniuge al momento della celebrazione, incapacità intesa come menomazione della sfera intellettiva e volitiva di tale grado da impedire di fare comprendere il significato e le conseguenze giuridiche dell’impegno matrimoniale assunto. E nel caso di specie, mancava persino la consapevolezza della materialità della stipulazione dell’atto matrimoniale, non rilevando tutti gli altri elementi evidenziati dall’uomo in sua difesa.
La Corte dichiarava dunque inammissibile il ricorso.
Cass. civ., sez. I, ord., n. 20862 del 21 luglio 2021
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