AIUTA LA FIGLIA NEL SUO NEGOZIO E FINGE UN DISTURBO ANSIOSO-DEPRESSIVO PER METTERSI IN MUTUA: LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE PUBBLICO
Un impiegato pubblico dell’Agenzia del Demanio si metteva in malattia per una sindrome ansioso-depressiva manifestatasi dopo un infortunio sul lavoro. A seguito di un’indagine investigativa veniva beccato a lavorare quotidianamente nella panetteria della figlia, e veniva licenziato.
I Giudici di merito concordavano sulla legittimità del licenziamento disciplinare adottato dall’ufficio pubblico, in quanto il loro impiegato aveva utilizzato il periodo della malattia, conseguente a un infortunio sul lavoro, per svolgere un’altra attività lavorativa. Si era appurato che il lavoro eseguito dall’uomo presso l’esercizio commerciale non era occasionale ma continuativo e caratterizzato da impegno non meno gravoso di quello proprio delle mansioni di impiegato d’ordine presso la Agenzia del Demanio, da un video girato dall’investigatore privato si vedeva chiaramente che l’uomo che lavorava nel negozio era una persona che all’apparenza non aveva alcun disturbo, né fisico né psichico. Il Consulente Tecnico del Tribunale ribadiva, poi, che le attestazioni mediche rilasciate sulla esistenza e sulla natura delle patologie del lavoratore, successive all’infortunio, non erano coerenti tra loro e che la sindrome ansioso-depressiva, se esistente, era di modesta entità e non collegabile all’infortunio.
Il dipendente pubblico ricorreva in Cassazione sottolineando il carattere occasionale dell’attività lavorativa contestagli e che il contratto prevedeva la sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, fino ad un massimo di dieci giorni, in caso di svolgimento di altre attività durante lo stato di malattia o di infortunio, incompatibili e di pregiudizio per la guarigione. Sosteneva, inoltre, che la malattia era stata sempre comunicata e documentata al datore di lavoro, che non aveva mai accertato le sue effettive condizioni di salute attraverso una verifica fiscale, malattia che era stata documentata da un’Azienda sanitaria provinciale, riconosciuta dall’INAIL ed attestata da certificazioni mediche, precisando che la documentazione medica prodotta era totalmente coincidente con quella richiamata nella sentenza penale di assoluzione.
La Cassazione però si basava, principalmente, sull’inesistenza di una patologia determinante la inabilità al lavoro (ritenendo fittizia la sindrome ansioso-depressiva lamentata dal dipendente in seguito all’infortunio) e sulla continuità dell’attività lavorativa svolta dal dipendente pubblico presso l’esercizio commerciale della figlia nel periodo di assenza per malattia.
Tali elementi bastavano per la legittimità del licenziamento. La Corte rigettava il ricorso, rendendo definitivo, quindi, il licenziamento del dipendente dell’Agenzia del Demanio.
(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 15465 del 3.6.2021)
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