APOSTROFARE UNA PERSONA CON L’EPITETO “FROCIO” E’ DIFFAMAZIONE.
In un post condiviso su facebook una prostituta transessuale, sosteneva di avere avuto un rapporto sessuale con un uomo, un esponente politico, facendo riferimento a una sua presunta omosessualità, nello specifico apostrofandolo come frocio e schifoso. Tribunale e Corte d’Appello sulla base del quadro probatorio lo condannano ritenendolo colpevole di diffamazione, resa più grave dall’utilizzo del social network, e sanzionandolo con 2mila euro di multa. Inoltre i giudici stabilivano il diritto dell’esponente politico a percepire 10mila euro dal trans come risarcimento. La Cassazione condivideva a pieno questa posizione, chiarendo che le espressioni utilizzate online dal trans non avessero perso il carattere dispregiativo ad esse attribuito. Le espressioni incriminate costituivano, oltre che una chiara lesione dell’identità personale, un veicolo di avvilimento dell’altrui personalità e tali sono percepite dalla stragrande maggioranza della popolazione italiana, come dimostrato dalle liti furibonde innescate, in ogni dove, dall’attribuzione delle qualità sottese alle parole utilizzare dal trans per additare l’esponente politico. Non era un caso che nella prassi, molti ricorressero a quei termini per recare offesa alla persona.Era dunque, pienamente legittima la condanna per il reato di diffamazione, aggravata dal fatto che la comunicazione incriminata fosse avvenuta con un social network di ampia diffusione.La Corte quindi dichiarava inammissibile il ricorso. (Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 19359 del 17.5.2021)
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