LO STALKING A MEZZO FACEBOOK
Due amministratori di un piccolo Comune siciliano finiscono nel mirino di un uomo i cui post su Facebook andavano ben oltre la critica politica. L’uomo veniva condannato dal Tribunale e dalla Corte d’Appello per diffamazione e atti persecutori.
L’uomo ricorreva in Cassazione sostenendo che secondo un orientamento giurisprudenziale del 2016, escluderebbe la commissibilità di questo reato per mezzo di strumenti telematici. Da tale tesi difensiva i giudici della Corte prendono spunto per fare chiarezza: è vero che nel 2016 si era formato un indirizzo interpretativo secondo il quale la pubblicazione anche reiterata di articoli giornalistici a contenuto diffamatorio non integrava gli estremi del delitto di stalking. Alla stessa maniera nel 2020 si affermava che non valeva ad integrare il reato nemmeno la pubblicazione di post irridenti su una pagina Facebook accessibile a chiunque. Questo per via dell’assenza del requisito della inevitabile invasività della sfera privata della vittima. Ma ciò non permette in ogni caso di giungere alla conclusione sperata dal ricorrente e cioè che lo strumento informatico in contraddizione con quanto prevede la lettera della legge, che invece considera l’uso del mezzo telematico come un’aggravante, non sarebbe nemmeno astrattamente idoneo a porre in essere una condotta persecutoria. Si è dunque precisato che non vi è mai stata un’aprioristica esclusione di Internet dal novero degli strumenti con i quali può commettersi il reato di stalking, al contrario sin dal 2010 si è sostenuto che l’invio alla persona offesa di sms, email o post sui social network valgono ad integrare il reato in questione; così come identica valenza possono assumere l’invio di foto o altro genere di messaggi dal contenuto denigratorio. Ecco che, in definitiva, non rileva tanto il mezzo attraverso il quale si pone in essere la condotta illecita, quanto la concreta modalità con la quale la prima si è manifestata. L’effetto è quello dell’effetto vessatorio sulla persona offesa, la quale deve quindi essere rimasta vittima di una vera e propria azione persecutoria posta in essere nei propri confronti. Nonostante il reato di stalking sia abituale a forma vincolata, quest’ultima in realtà è tale soltanto nel rispetto della sequenza fenomenica “molestia-minaccia – ansia-timore”, ma rimane pur sempre commissibile in tutti i modi nei quali una condotta petulante o minacciosa può concretizzarsi.
Pertanto rigettava il ricorso.
(Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 19363 del 17.5.2021)
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