ASSILLA L’EX COMPAGNO PER INCONTRARE IL FIGLIO: CONDANNATA.
Una donna veniva ritenuta colpevole di atti persecutori ai danni dell’ex compagno e veniva punita con otto mesi e venti giorni di reclusione, pur con la difesa della donna basata sul fatto che gli avvicinamenti all’uomo erano mossi dal desiderio della donna di incontrare il figlio, affidato dai Giudici in via esclusiva all’ex compagno.
Su tale scopo della donna, la sua difesa basava il ricorso in Cassazione sostenendo che la donna fosse mossa dalla sola finalità di vedere il figlio, quindi ponendo in essere alcuna attività sorretta dal dolo, previsto in caso di stalking. Ed inoltre, secondo la difesa, la persona offesa non aveva mutato le proprie abitudini di vita e dunque non era provato un suo grave stato di ansia e paura.
La Cassazione analizzava la vicenda ad ampio spettro, evidenziando che la donna era partita da una serie di condotte persecutorie nei confronti dell’ex convivente, al quale il Tribunale per i minorenni aveva affidato in via esclusiva il figlio della coppia, proprio in considerazione dei comportamenti molesti e disturbanti della donna, i cui incontri con il figlio venivano rimessi alla regolamentazione dei Servizi Sociali. Già tre erano stati gli episodi segnalati all’autorità giudiziaria: nel primo episodio la donna si presentava sotto casa dell’ex compagno con la pretesa di vedere il figlio, ed iniziando a gridare in seguito al rifiuto dell’uomo, trattandosi di incontro non regolamentato dai Servizi Sociali. In una seconda occasione la donna, dopo aver pedinato l’ex compagno, si recava presso la pizzeria dove l’uomo si trovava con il figlio e con due amici, minacciandolo e offendendolo e pretendendo di consegnare una busta della spesa al figlio. In una terza occasione, infine, la donna veniva tratta in arresto perché, dopo essersi presentata a casa dell’ex compagno per vedere il figlio, iniziava ad urlare e a pretendere di entrare nel condominio e l’uomo, che aveva allertato le forze dell’ordine, veniva aggredito dalla donna, che lo spingeva fino a farlo cadere. Alla luce di questo più esteso quadro la Cassazione non poteva disallinearsi dalla accusa confermata in secondo grado di atti persecutori, soprattutto perché la finalità di vedere il figlio minore non poteva giustificare l’agire della donna, per l’assorbente considerazione che gli incontri con il figlio dovevano essere regolamentati dai Servizi sociali, secondo quanto disposto dal Tribunale per i minorenni. Dunque, il proposito di vedere il figlio non priva la condotta del carattere di illiceità, trattandosi del mero movente dell’azione, della causa psichica della condotta umana, dello stimolo che ha indotto la donna ad agire, facendo scattare la volontà della condotta. L’uomo, viveva in uno stato di ansia e timore per l’incolumità propria e del figlio e costretto a richiedere sovente l’intervento delle forze dell’ordine per fronteggiare quella che era una vera e propria persecuzione posta in essere dall’ex compagna. La Corte dunque rigettava il ricorso.
(Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 1563 del 26.4.2021
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