
Sì ALLA REINTEGRAZIONE DEL DIPENDENTE DEPRESSO LICENZIATO PERCHE’ SVOLGEVA ATTIVITÀ RICREATIVE IN MALATTIA.
Un operatore ecologico veniva licenziato perché nel periodo di assenza per malattia veniva scoperto a svolgere attività fisiche ricreative considerate dall’azienda incompatibili con la condizione fisica dello stesso. I Giudici di merito non condividevano la decisione dell’azienda e la condannavano a reintegrare l’uomo nel suo posto di lavoro, nonché al risarcimento del danno quantificato in dodici mensilità della retribuzione globale di fatto.
La decisione dei Giudici trovava fondamento nel certificato medico che il lavoratore aveva allegato, il quale attestava la diagnosi di depressione maggiore e la prescrizione di quindici giorni di riposo e cura. A detta dei Giudici, quindi, la presenza di una patologia di natura neurologica giustificava la condotta del lavoratore.
L’azienda ricorreva in Cassazione e denunciava l’errata valutazione dei Giudici ritenendo che l’uomo attraverso i suoi comportamenti fosse venuto meno ai doveri di collaborazione ostentando la sua partecipazione ad attività che non risultavano in linea con la natura della prestazione lavorativa da lui svolta.
Tuttavia, questa tesi non convinceva affatto i Giudici che non ritenevano i comportamenti dell’uomo lesivi dell’immagine dell’azienda, ma, al contrario, perfettamente in linea con la diagnosi di una patologia di natura neurologica identificata come un lieve stato ansioso-depressivo.
Per questi motivi, i Giudici, ritenuta l’irrilevanza giudica della condotta del lavoratore, rigettavano il ricorso e condannavano l’azienda alla reintegrazione dell’uomo.
(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 9647 del 13.4.2021)
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