MANTENIMENTO: IL TITOLO DI STUDIO DELL’EX MOGLIE NON E’ SUFFICIENTE A GIUSTIFICARE IL RIFIUTO DI DETERMINATE OFFERTE DI LAVORO.
Giudizio di separazione: Tribunale e Corte d’Appello concordavano sul fatto che la relazione extraconiugale del marito avesse avuto un peso decisivo sulla cessazione della comunione di vita tra i coniugi, e ritenevano giusto l’assegno mensile di 1.000 euro in favore della donna che si rivelava avere redditi esigui. Ricorso in Cassazione il legale dell’uomo contestava la visione tracciata in Appello, mettendo in discussione l’addebito della separazione ma soprattutto ritenendo illogico l’assegno in favore della ex moglie che era laureata e aveva sempre rifiutato i lavori propostile dal marito, così aggravandone la posizione debitoria. I giudici rilevavano che la comparazione dei redditi e del patrimonio delle parti mostrava un elevato dislivello a favore del marito e ciò legittimava l’assegno in favore della moglie, soprattutto presenti le attitudini lavorative della donna le quali andavano ricondotte alla laurea. Si precisava inoltre che il profilo individuale non andava mortificato con possibili occupazioni inadeguate, non potendosi pretendere che una donna di 48 anni, laureata, che aveva goduto di un livello di vita invidiabile, poi fosse condannata al banco di mescita o al badantato. La Cassazione però censurava questa visione, lasciando invece ferma la responsabilità dell’uomo per la fine del matrimonio. La Cassazione osservava come il ragionamento della Corte d’Appello si ponesse in netto contrasto col principio secondo cui, in tema di separazione personale dei coniugi, la loro attitudine al lavoro proficuo, quale potenziale capacità di guadagno, costituiva elemento indispensabile da valutare ai fini delle statuizioni afferenti l’assegno di mantenimento, dovendo il giudice accertare l’effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale. In appello si era confermato il diritto della donna al mantenimento sulla base di rilievi del tutto astratti e giungendo a negare dignità al lavoro manuale o di assistenza alla persona mentre, al contrario, si era omesso di porre attenzione sugli elementi rilevanti, come l’essere o no la coniuge in grado di procurarsi redditi adeguati, l’esistenza o no di proposte di lavoro, l’eventuale rifiuto immotivato di accettarle o, comunque, l’attivazione concreta alla ricerca di una occupazione lavorativa. La decisione presa in secondo grado non era quindi del tutto convincente, per questo era necessario un nuovo processo di secondo grado per compiere una valutazione specifica delle proposte e dei lavori ricercati o reperiti dalla donna, nonché della raggiunta prova del diritto a non compierli e delle ragioni di questa decisione, prima di decidere sull’assegno di mantenimento a lei riconosciuto in Tribunale.
(Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza n. 5932 del 4.3.2021)
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