IL REATO DI ATTI PERSECUTORI E LA MISURA CAUTELARE DEL DIVIETO DI AVVICINAMENTO ALLA PERSONA OFFESA.
Nel caso di specie, la misura cautelare veniva applicata all’indagato per atti persecutori, perché con condotte reiterate di molestia, interrompeva quotidianamente la fornitura del fratello ed alzava il volume della musica, disturbando il figlio nei suoi studi ed inducendo nella famiglia della persona offesa un’alterazione delle proprie abitudini di vita. L’indagato proponeva ricorso per Cassazione, censurando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza posti alla base della misura di divieto di avvicinamento alla persona offesa e ai luoghi da esso frequentati.
La Cassazione accoglieva il ricorso, osservando che il tribunale aveva individuato le condotte persecutorie negli interventi dell’indagato sull’impianto di erogazione della fornitura idrica, nonché nelle immissioni sonore provenienti dalla sua abitazione, che avrebbero inciso sulle abitudini di vita della famiglia della persona offesa. Tale prospettazione era però insufficiente per supportare la fondatezza della tesi accusatoria sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il reato in questione necessitava della reiterazione dei comportamenti molesti i quali, inserendosi in una sequenza causale, determinavano l’evento quale risultato della condotta persecutoria nel suo complesso. Il criterio distintivo tra reato di atti persecutori e quello di molestia o disturbo alle persone consisteva proprio nelle diverse conseguenze della condotta molesta, nel senso che il delitto di atti persecutori si configurava solo qualora le condotte molestatrici fossero idonee a causare un evento di danno, consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita e un evento di pericolo, consistente nel fondato timore per l’incolumità proprio o di un prossimo congiunto. Anche in sede cautelare, non era sufficiente l’accertamento di un quadro indiziario relativo alla sussistenza di atti molesti, ma occorreva valutare elementi indiziari relativi al nesso causale e all’evento. Il suddetto evento era rinvenibile nel fatto che la persona offesa fosse costretta, come conseguenza delle condotte persecutorie, a una alterazione delle proprie abitudini di vita, escludendo dunque quei fatti percepiti dalla vittima come fastidiosi o che l’abbiano portata a degli irrilevanti cambiamenti di vita.
Sotto il profilo della legittimità della misura applicata, la Corte accoglieva le doglianze difensive: la misura prescriveva all’indagato di non avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa, ovvero di mantenere una certa distanza da tali luoghi o dalla persona offesa stessa. Le esigenze di cautela contemplate dalla norma dovevano conciliarsi con i diritti della persona sottoposta a misura, nel senso che la compressione della libertà di movimento doveva essere quella strettamente necessaria a tutelare la vittima nonché sufficientemente determinata, affinché fosse chiaro all’obbligato la portata delle prescrizioni impostegli. Nel caso di specie il divieto di avvicinamento era stato disposto non con riferimento ai luoghi frequentati dalla persona offesa ma con riguardo a quello ove era collocato l’impianto di erogazione dell’acqua, con il palese scopo di impedire l’accesso a tale luogo.
La Corte dunque annullava l’ordinanza impugnata e rinviava al Tribunale.
(Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 1541 del 14.1.2021)
0 commenti