GINECOLOGO COMUNICA ALLA PAZIENTE LA STERILITA’ DEL MARITO: VIOLA IL SEGRETO PROFESSIONALE?
Un ginecologo, psicoterapeuta e sessuologo, nel rilasciare alla sua paziente un certificato medico aveva rivelato senza giusta causa circostanze riservate relative alla sfera sessuale e procreativa del marito della stessa, con riferimento, in particolare, alla sua sterilità. La vicenda veniva portata dallo stesso medico in Cassazione, evidenziando che egli era il ginecologo della moglie della persona offesa, e che una volta falliti i numerosi tentativi di inseminazione omologa, la coppia aveva deciso di intraprendere il percorso di inseminazione artificiale, da cui era nata la figlia, ed in seguito i due coniugi si erano separati e il marito aveva intentato una causa finalizzata al disconoscimento della paternità, ponendo alla base dell’azione civile un certificato medico attestante la sua “severissima infertilità”. Per tali ragioni la donna si era rivolta al medico per il rilascio del certificato in questione, per consentire alla stessa di produrre nel procedimento civile elementi volti a tutelare gli interessi superiori della figlia. Considerato che la notizia relativa alla infertilità del marito della sua paziente era già stata resa nota nel procedimento teso al disconoscimento della paternità, si doveva ravvisare l’esistenza di una giusta causa, e dunque l’esclusione di una sua responsabilità. La Corte di Cassazione rilevava che il certificato era stato effettivamente rilasciato dall’imputato su richiesta della paziente ai fini della sua produzione nel giudizio di disconoscimento della paternità intrapreso dal marito nei mesi precedenti, non essendoci, dunque, stata alcuna rivelazione di segreto professionale in quanto la notizia era già conosciuta. Non si poteva dunque affermare che l’imputato avesse rivelato le circostanze menzionate inerenti al marito della paziente, essendo stato quest’ultimo il primo a rivelare tali circostanze al momento dell’esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità nei mesi precedenti.
La Corte d’appello aveva prosciolto il medico perché il reato era ormai prescritto, ma per quanto riguardava gli effetti civili la Cassazione annullava la decisione di secondo grado, rinviando limitatamente ad essi per un nuovo giudizio al giudice civile competente.
(Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 318 del 7.1.2021)
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