DOPO LA STIPULA DEL PRELIMINARE DI VENDITA, A POCHI GIORNI DAL ROGITO, SCOPRE L’IRREGOLARITÀ URBANISTICA DEL LOCALE CALDAIA: IL PROMITTENTE ACQUIRENTE PUÒ CHIEDERE LA RISOLUZIONE?
Dopo la stipula di un contratto preliminare di compravendita immobiliare, un uomo citava in giudizio la controparte per ottenere la declaratoria di nullità, inefficacia o risoluzione per inadempimento del contratto, in quanto, a pochi giorni dalla stipula del rogito notarile veniva a conoscenza di alcune irregolarità urbanistiche dell’immobile che si era impegnato ad acquistare, circostanza per la quale non aveva proceduto al rogito. Il Tribunale accoglieva la domanda di inadempimento, e condannava i promissari venditori alla restituzione della caparra confirmatoria e al risarcimento dei danni. Questi appellavano la sentenza di primo grado, la quale però veniva confermata unitamente alla condanna alla restituzione della caparra, escludendo il diritto al risarcimento dei danni.
La questione finiva dunque dinanzi alla Corte di Cassazione innanzi alla quale i promissari venditori lamentavano la mancata valutazione della gravità dell’inadempimento stesso sottolineando che le irregolarità urbanistiche si riferivano ad alcune pertinenze e non all’immobile principale. Ed effettivamente la censura appariva fondata, la Corte aveva già in passato evidenziato che, ai fini della risoluzione del contratto, in caso di parziale o inesatto adempimento della prestazione, il giudice doveva valutare la gravità dell’inadempienza tenendo conto del valore complessivo del corrispettivo pattuito in contratto, determinabile secondo un criterio di proporzionalità che la parte dell’obbligazione non adempiuta ha rispetto ad esso; nel caso di specie, la irregolarità urbanistica riguardava due manufatti qualificabili come pertinenze dell’immobile oggetto del preliminare, risultando necessario valutare se la difformità di essi potesse essere considerata parziale e non preclusiva della possibilità di procedere con la richiesta della sentenza di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto (art. 2932 c.c.), e la legge in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita, prevedeva che potesse essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo, a condizione però che il vizio di regolarità urbanistica non oltrepassasse la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione, dovendosi distinguere, anche quando fosse stata presentata istanza di condono edilizio con versamento della somma prevista per l’oblazione e la pratica, come nel caso del recesso, non fosse stata ancora definita, tra ipotesi di abuso primario, relativo a beni immobili edificati o resi abitabili in assenza di concessione, e abuso secondario, caratterizzato dalla circostanza che solo una parte di unità immobiliare già esistente abbia subito modifica o mutamento di destinazione d’uso.
Per questi motivi, la Corte accoglieva dunque il ricorso e cassava la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione.
(Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 26558 del 23.11.2020)
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