VA IN VACANZA E LASCIA I GATTI AI FIGLI MINORENNI: CONDANNATA PER ABBANDONO.
A seguito di un sopralluogo dei Carabinieri e della Guardia zoofila, una donna finiva sotto processo accusata di aver abbandonato i suoi tre gatti. Conseguentemente veniva condannata dai giudici di merito.
La donna non concorde delle decisioni dei giudici di merito ricorreva in cassazione e tramite il suo legale ribadiva che prima di partire per le ferie estive, aveva delegato il compito di accudire i propri animali domestici ad una conoscente che, però, aveva successivamente negato il suo supporto, e quindi era stata costretta ad incaricare i propri figli della cura degli animali. Sottolineando, poi, che per comune esperienza un gatto domestico poteva resistere senza subire le conseguenze di un abbandono per alcuni giorni, precisando che la situazione di sporcizia presente nell’appartamento era dovuta ad un furto subito ed alle condizioni di caldo e umido tipiche della stagione estiva.
La Cassazione innanzitutto ribadiva che la detenzione impropria di animali, produttiva di gravi sofferenze, andava considerata, per le specie più note, attingendo al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e le gravi sofferenze non andavano necessariamente intese come quelle condizioni che potessero determinare un vero e proprio processo patologico, bensì anche i meri patimenti. La grave sofferenza dell’animale, elemento oggettivo dell’abbandono, doveva essere desunta dalle modalità della custodia che devono essere inconciliabili con la condizione propria dell’animale in situazione di benessere, rilevavano così non soltanto quei comportamenti che offendevano il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidevano sulla sensibilità psicofisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione.
Nel caso di specie i gatti erano stati rinvenuti nell’appartamento affamati, mobili e divani ricoperti di escrementi ammuffiti e di urine, rinchiusi in una stanza. Uno dei felini presentava un’escrescenza sul muso che, a seguito di visita veterinaria, si rilevava essere un tumore molto esteso. Il gatto in questione, in stato di denutrizione, veniva sottoposto a due interventi chirurgici e, poi, aggravatosi in maniera irreversibile, veniva soppresso.
La detenzione in tali condizioni dei gatti, costretti in un luogo ristretto e malsano per lungo periodo e senza adeguate cure, doveva ritenersi certamente incompatibile con la loro natura e produttiva di gravi sofferenze per gli animali.
Totalmente irrilevante che la donna avesse affidato a terze persone la cura dei gatti, anzi, tale atteggiamento si rivelava colposo, poiché a fronte del lungo periodo di assenza e della impossibilità di avvalersi di un sostituto adeguato per la cura dei propri animali domestici, avrebbe dovuto affidare i gatti ad una struttura, pubblica o privata, di custodia e cura, non avendo tenuto una condotta diligente e idonea a tutelare la salute dei suoi animali, la Cassazione confermava la sua condanna rigettando il ricorso.
(Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 32157 del 16.11.2020)
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