CHI FILMA UNA VIOLENZA RISPONDE DEL REATO DI VIOLENZA DI GRUPPO.
L’uomo a cui era stata applicata la misura della custodia in istituto penitenziario minorile in relazione ai reati di sequestro di persona e violenza sessuale di gruppo, ricorreva in Cassazione avverso tale provvedimento, tra le doglianze sottolineava la sua mera presenza inerte sul luogo dell’avvenuta violenza sessuale di gruppo, con conseguente configurabilità dell’ipotesi di connivenza non punibile. La deduzione non trovava condivisione da parte della Corte che evidenziava come per la configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo fosse necessario che più persone riunite partecipassero alla commissione del fatto, non essendo tuttavia richiesto che tutti i componenti del gruppo ponessero in essere atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe fosse comunque fornito un contributo causale, materiale o morale, alla commissione del reato, ed era sufficiente la loro presenza nel luogo e nel momento in cui detti atti venivano compiuti, anche da uno solo dei compartecipi, atteso che la determinazione di quest’ultimo veniva rafforzata dalla consapevolezza della presenza del gruppo. Il concetto di partecipazione secondo un’interpretazione più aderente alle finalità perseguite dal legislatore, doveva ritenersi estesa a qualsiasi condotta partecipativa, tenuta in una situazione di effettiva presenza non da mero “spettatore”, fosse pure compiacente, sul luogo ed al momento del reato, che apportasse un reale contributo materiale o morale all’azione collettiva, la Corte d’Appello correttamente aveva motivato la decisione impugnata sulla base della situazione concretamente emergente dalle risultanze probatorie. Il ricorrente, difatti, non solo era presente nel luogo della perpetrata violenza sessuale durante tutto il tempo in cui si era consumato il reato, ma imponeva anche toccamenti della persona offesa e realizzando, inoltre, un video dei fatti, manifestando, in ogni caso, una chiara adesione alla violenza di gruppo che rafforzava il proposito criminoso.
Per tutti questi motivi la Corte dichiarava dunque inammissibile il ricorso, l’uomo si vedeva dunque confermata la condanna per violenza sessuale.
(Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 29096 del 21.10.2020)
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