NON E’ SUFFICIENTE L’ETA’ DEL FIGLIO QUASI 30ENNE A LIBERARE IL PADRE DALL’OBBLIGO DI MANTENIMENTO
Veniva pronunciata la separazione personale dei coniugi dal Tribunale di Roma il quale assegnava la casa familiare all’ex moglie, con obbligo in capo al padre di provvedere al mantenimento dei figli (uno minorenne ed uno maggiorenne ma non economicamente autosufficiente) di 250 € mensili, nonostante l’obiezione mossa dall’uomo, anche la Corte d’appello confermava tale decisione. L’uomo in particolare lamentava, il fatto che fosse stato fissato un contributo al mantenimento dei figli non strettamente necessario a realizzare il principio di proporzionalità stabilito dal codice civile e senza valutare la disponibilità della quota della casa coniugale attribuita alla moglie, gli effettivi bisogni dei figli, la predominanza del reddito del genitore collocatario e la condizione di disabilità ed incapacità lavorativa del genitore obbligato.
L’uomo proponeva ricorso dinanzi la Corte di Cassazione, quest’ultima ribatteva che in secondo grado erano stati considerati i dati fattuali integrati dai redditi e dalle disponibilità immobiliari dei coniugi, le esigenze dei figli ed i tempi di loro permanenza presso il padre, nonché la valenza dei compiti domestici e di cura incombenti esclusivamente sulla madre. L’uomo poneva in evidenza, poi, il diritto del figlio maggiorenne a percepire l’assegno di mantenimento, sottolineandone l’età, 27 anni, chiedendo che venisse valutata la compatibilità del perseguimento del progetto educativo e di formazione sotteso all’obbligo del mantenimento alla luce delle condizioni economiche dei genitori, ritenendo che così, si sarebbe rischiata la violazione del principio di solidarietà nelle formazioni sociali, non tenendo conto della sua situazione economica.
Questa obiezione veniva però respinta in modo netto dai giudici della Cassazione, dovendosi applicare il principio per cui l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli non cessava con il raggiungimento della maggiore età, ma perdurava immutato finché il genitore non desse la prova che il figlio avesse raggiunto l’indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un’attività economica dipendesse un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato da parte del figlio. E in questo caso, invece, non vi erano prove su una presunta colpevole inerzia del figlio maggiorenne.
La Corte dichiarava dunque inammissibile il ricorso del padre.
(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 21752 del 9.10.2020)
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