TRADIMENTI RECIPROCI TRA MOGLIE E MARITO, MA NON BASTANO I MESSAGGI HOT DELLA MOGLIE PER L’ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE.
Due coniugi ponevano in Tribunale reciproche domande di addebito della responsabilità della separazione personale, che venivano però rigettate, contestualmente, i giudici decidevano per il collocamento del figlio presso la madre, l’assegnazione a lei della casa coniugale, nonché un mantenimento di 200 € a carico del padre. Anche la Corte d’appello, pronunciandosi sulle domande d’addebito, sottolineava che la pronuncia di addebito non poteva fondarsi sulla mera violazione degli obblighi coniugali, essendo necessario accertare il nesso eziologico tra la condotta violativa e il fallimento della convivenza coniugale, e dunque respingendole. L’uomo proponeva ricorso in Cassazione, in cui si rivelava inutile il richiamo all’infedeltà realizzata dalla moglie e considerata dal marito come causa della intollerabilità della convivenza coniugale, non potendo considerarsi decisivi i messaggi pubblicati dalla donna sui social network, nei quali si dichiarava disponibile a incontri amorosi che si erano, poi, reiterati, come accertato da una relazione investigativa. La Cassazione evidenziava però il dato assodato tanto in tribunale che in appello, delle reciproche condotte degli ex coniugi, con conseguente mancanza di rilevanza in ordine all’incidenza causale del tradimento della donna sull’insorgenza dell’intollerabilità della vita coniugale. Per quanto riguardava l’assegnazione della casa coniugale, il marito evidenziava come si trovasse costretto a risiedere nella cucina di proprietà della madre, confinante con la casa coniugale, nonché che l’assegnazione parziale della casa coniugale non avrebbe provocato conflitti, anzi ne avrebbe evitato l’insorgenza, ma la Corte spiegava come la possibilità di assegnare una porzione della casa coniugale al genitore non collocatario potesse essere prevista solo nel caso in cui l’unità immobiliare fosse del tutto autonoma e distinta da quella destinata ad abitazione della famiglia o fosse agevolmente divisibile, mentre in questo caso si doveva prendere atto delle modeste dimensioni dell’immobile.
La corte dichiarava dunque inammissibile il ricorso.
(Corte di Cassazione, sez. VI civile, ordinanza n. 22266 del 15.10.2020)
0 commenti