CONDANNATA DIRIGENTE CHE PERMETTEVA AL MARITO DI UTILIZZARE IL TELEFONO AZIENDALE
L’anomalo utilizzo del cellulare aziendale, faceva finire sotto accusa una dirigente d’azienda quando, in pochi mesi, erano state registrate telefonate internazionali a ripetizione con una spesa complessiva di circa 4000 €. La segnalazione dell’azienda dava seguito alle indagini, le quali consentivano di accertare che il cellulare era finito nelle mani del marito della dirigente, il quale l’aveva utilizzato con grande libertà, chiamando dal Marocco dove si trovava, mentre la moglie era in italia. La donna veniva dunque condannata in Tribunale e poi in Corte d’appello per peculato d’uso, dato che la sua difesa e cioè che inavvertitamente il marito avrebbe, prima di partire, confuso il suo cellulare con quello della moglie, non aveva convinto i giudici, e la pena veniva fissata in 8 mesi di reclusione.
Durante il ricorso in Cassazione, la donna ribadiva la sua buona fede, sottolineando di non essersi effettivamente accorta dello scambio del cellulare di servizio con l’altro cellulare del proprio coniuge nel periodo in cui quest’ultimo risiedeva in Marocco, e ponendo in evidenza il fatto che i telefoni oggetto dello scambio erano identici. Tale visione però anche in Cassazione veniva ritenuta poco plausibile, la quale invece condivideva la ricostruzione compiuta in Appello, che difatti aveva definito tale tesi inverosimile, ed aveva valorizzato correttamente il dato temporale dei quattro mesi di utilizzo indebito del cellulare “scambiato” da parte del coniuge senza che la dirigente se ne avvedesse, abbinato alla interruzione dell’uso abusivo intervenuta solo dopo la denuncia da parte dell’azienda, per escludere la possibilità di un errore, reso ancora meno plausibile dalla peculiarità del bene scambiato, in ragione della differente numerazione telefonica e delle ulteriori implicazioni che ne derivavano.
La responsabilità penale della dirigente si basava, secondo la Cassazione, su un dato certo e obiettivo, cioè l’utilizzo del telefono della dirigente da parte del coniuge che viveva in Marocco, dichiarava dunque inammissibile il ricorso e condannava la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 3000 € in favore della cassa delle ammende.
(Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 27742 ; del 6.10.2020)
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