NIENTE PERMESSI STUDIO RETRIBUITI SE IL LAVORATORE E’ UNO STUDENTE “FUORI CORSO”
Un ragazzo dipendente di un ente pubblico, decideva di agire per vie legali, quando si vide negati i permessi straordinari e retribuiti per motivi di studio, anche oltre la durata prevista del relativo corso di studi, perché fuori corso, ma sia Tribunale che la Corte d’Appello concordavano con l’ente. In particolare quest’ultima chiariva che la previsione del contratto non riconosceva permessi studio retribuiti anche ai lavoratori studenti fuori corso, e dunque la concessione dei permessi era limitata al solo periodo di frequenza nell’ambito degli anni di durata legale del corso di studi, poiché opera riferimenti all’ultimo e al penultimo anno di corso, riferimenti che non avrebbero concreto significato se non con riguardo a una fisiologica durata del corso di studi, e quindi tale interpretazione era da considerarsi la più razionale. Il lavoratore però presentava ricorso in Cassazione, sostenendo una erronea applicazione del CCNL, ed in particolare che la disciplina del diritto allo studio, dettata nel contratto, era applicabile anche ai dipendenti che fossero studenti fuori corso, poiché la norma non operava questa distinzione, ma specificava solo che i permessi fossero concessi per la frequenza di corsi finalizzati al conseguimento dei titoli di studio universitari, oltre che per la preparazione dei relativi esami. Tanto la frequenza ai corsi quanto la preparazione degli esami e la partecipazione agli stessi costituivano attività didattica consentita dallo status di studente universitario a prescindere dall’essere in o fuori corso, secondo il ricorrente. La Cassazione, però, sottolineava che i giudici di merito avevano eseguito una lettura coerente e logica della norma, e la loro interpretazione riconduceva la norma contrattuale a limiti ragionevoli, che sorreggessero il diritto allo studio senza comprimere eccessivamente il diritto del datore di lavoro alla prestazione, e ciò era assolutamente corretto, ad esempio, poi, veniva portata una decisione secondo la quale la norma contrattuale in oggetto andava interpretata nel senso che i permessi straordinari retribuiti potessero essere concessi soltanto per frequentare i corsi indicati in orari coincidenti con quelli di servizio, non per le necessità connesse all’esigenza di preparazione degli esami, ovvero per altre attività complementari come, ad esempio, i colloqui con i docenti.
E dunque la Corte rigettava il ricorso, ritenendo corretta l’interpretazione dei giudici di merito e la decisione dell’ente di negare i permessi studio allo studente fuori corso.
(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 19610 del 8.9.2020)
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